Accusato dell'omicidio di una squillo,
ne aveva già uccisa un'altra

Accusato dell'omicidio di una squillo, ne aveva già uccisa un'altra
di Nicola Sorrentino
Domenica 10 Febbraio 2019, 18:07 - Ultimo agg. 18:26
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Ha scelto il silenzio Carmine Ferrante, il 36enne muratore di Dragonea, frazione di Vietri sul Mare, raggiunto da un'ordinanza di custodia cautelare in carcere perchè ritenuto l'omicida di Mariana Szekeres, la giovane romena scomparsa nella notte tra il 30 aprile e il 1 maggio 2016, nella periferia di Salerno.E poi trovata senza vita, diversi giorni dopo. Assistito e difeso dai legali di fiducia Agostino De Caro e Bernardina Russo, l'indagato ha preferito giorni fa non rispondere alle domande del gip, Giovanna Pacifico. Una scelta forse dettata da uno studio successivo e più approfondito delle carte, in previsione di una istanza da presentare al Tribunale del Riesame. L'uomo, già condannato in primo e secondo grado a 20 anni di carcere per l'omicidio di Nikolova Temenuzhka, una bulgara che si prostituiva a Pagani, è sospettato di aver ucciso anche la giovane romena. In ragione di quelle due condanne, con un ricorso che pende attualmente in Cassazione, Ferrante si trovava già in carcere.

Le indagini sulla giovane ragazza erano partite a seguito della denuncia della scomparsa presentata dalle due amiche e conviventi della 19enne, che indicarono come possibile autore del presunto rapimento, un cliente occasionale che l'aveva presa a bordo di un'auto di colore scuro intorno alle 23 circa del 30 aprile. Le due donne raccontarono che l'uomo trattenne Mariana contro la sua volontà. Il corpo della giovane fu trovato a sedici giorni dalla scomparsa, in un avvallamento di un terreno limitrofo a via dei Carrari. La vittima era seminuda, con il corpo in stato avanzato di decomposizione. Un'eventuale difesa dell'uomo potrebbe essere ipotizzabile in sede di Riesame o, quando le indagini saranno concluse. Nel precedente processo nel quale fu poi condannato, aveva sostenuto più volte la sua innocenza. Ma come sembrerebbe per questa seconda indagine, anche allora fu "incastrato" dalle tracce di Dna trovate su alcuni orecchini che appartenevano alla vittima, oltre che dalle immagini di videosorveglianza di alcune telecamere.
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