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Matilde Romito: «L'Apollo di Salerno è Alessandro Magno»

La tesi dell'ex direttrice del Museo sulla testa di bronzo ritrovata nel 1930

La testa di bronzo ritrovata nel 1930
La testa di bronzo ritrovata nel 1930
di Erminia Pellecchia
Articolo riservato agli abbonati
Domenica 29 Gennaio 2023, 09:54
4 Minuti di Lettura

«È Alessandro Magno, non Apollo, metto la mano sul fuoco». Matilde Romito, ex direttrice dei Musei provinciali di Salerno, confuta la tesi che la testa di bronzo, rinvenuta al largo della spiaggia di Santa Teresa nella notte tra il 2 e il 3 dicembre del 1930, sia l'effige del dio delle arti e dell'ingegno. E mette sul piatto prove certe, frutto di ricerche storiche e iconografiche, che elenca nel capitolo intitolato «Una testa bronzea di Alessandro Magno nel porto di Salerno», posto, come un vero e proprio colpo di scena, a chiusura del libro «Una nuova Salerno romana» (Centro di Cultura e Storia amalfitana), uscito da poche settimane. Sono sicuramente le pagine che più intrigano il lettore comune e che, non c'è dubbio, saranno di sprone a un dibattito sulla raffigurazione del reperto e, soprattutto, sulla sua eventuale ridenominazione, anche se per l'immaginario locale sarà davvero dura rinunciare ad una icona pari, per affetto, a quella del patrono Matteo.

«Da sempre ho nutrito dubbi sia sulle ipotesi della provenienza che sull'identificazione del personaggio ritratto - dice Romito - L'occasione per approfondire i miei studi c'è stata quando nel 1988 sono arrivata alla direzione dei Musei provinciali, ma prima di tutto ho voluto verificare lo stato di salute dell'opera, affidandola al Centro di Restauro di Firenze e ai bravi restauratori dei Bronzi di Riace, Marcello Miccio e Renzo Giacchetti, sotto la supervisione di Diego Guarino. L'intervento fu finanziato dal Lions Salerno Host. Emersero dati notevoli sia sulle tecniche metallurgiche antiche che sotto il profilo storico-artistico, però, da ultima arrivata, non ritenni opportuno proporre nuove interpretazioni iconografiche, considerato anche che la rivista dei Musei Provinciali aveva ricevuto il nome di Apollo quasi trent'anni prima».

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C'era, però, quel pensiero ricorrente, e ora, nel pubblicare i suoi recenti studi sulla Salerno romana, l'archeologa ha messo nero su bianco «le riflessioni formulate tra me e me» e le ha condivise anche con i non addetti ai lavori grazie ad un linguaggio narrativo colto e fruibile e al ricco corredo fotografico che consente il confronto, persino a un occhio poco allenato, tra capolavori - tra tutti l'Alessandro Magno in marmo dei musei capitolini e il Megalexandros di Andy Warhol ispirato al busto ellenistico del re macedone conservato a Basilea - che presentano somiglianze evidenti con lo splendido bronzo, ambasciatore di Salerno nel mondo, applaudita star nel tour del 2016 tra Italia, Stati Uniti e Cina. Una fascinazione che viene da lontano - Romito traccia tutta la storia dell'Apollo-Alessandro - e resa mito da Giuseppe Ungaretti che, in visita a Salerno nel maggio del 32, fu colpito profondamente dal racconto della «pesca miracolosa» della paranza di Giovanni Gasparri. «A quel pescatore parve il Battista», scrisse nei suoi versi il poeta di (curiosa coincidenza) Alessandria d'Egitto, folgorato da quella «giovinezza risuscitata». Altra ode alla testa misteriosa la tesse Felice de Filippis, soprintendente all'Arte medievale e moderna della Campania, nel manifesto della II Mostra Salernitana d'Arte del 1933. «Il dio dal volto florido, giovanile, quasi femmineo, incorniciato dalle ciocche tormentate e sconvolte dei capelli... lo sguardo pieno di luminosa e grave serenità...», è la descrizione. Che ricalca quella del ritratto ufficiale di Alessandro fatto da Lisippo, lo sguardo liquido, di languida dolcezza, sospeso tra sensualità e spiritualità. Elemento, questo, sottolineato anche da Vittorio Bracco.

Qual è il vero volto del nostro bronzo? Apollo o Alessandro che sia, resta la bellezza che trasuda questo luminoso messaggero della città delle luci, consacrato anche dal gigantesco murale delle Fornelle firmato dallo street artist Carlos Atoche, come omaggio al dio della poesia e ad Alfonso Gatto suo cantore. Di sicuro c'è che la scultura, probabilmente del I d.C., non sia caduta in mare da un improbabile tempio sull'arenile di Santa Teresa, nè provenga dalle rovine di Paestum. Era di certo in viaggio, anche se incerti sono il luogo di partenza e l'approdo - lungo la costa Salerno-penisola amalfitano-sorrentina. Romito ci lancia un'altra intrigante suggestione, nata dal parallelismo con i più noti bronzi ercolanesi: che la statua fosse destinata al ciclo decorativo di Villa dei Pisoni, alias villa dei Papiri, col quale i proprietari avevano voluto rendere omaggio ai dinasti legati ad Alessandro Magno ed alla Biblioteca alessandrina. Forse commissionata ai talentuosi artigiani salernitani, artefici degli splendori della Villa marittima di Positano.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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