Il clan rivale andava colpito. Serviva una dimostrazione. Questo emerge dalle carte della Dda di Firenze nell'inchiesta sui fratelli Cuomo, in guerra con «quelli di Piedimonte». Luigi Cuomo spiega a Filippo Boffardi di «svolgere un compito per il gruppo, di sparare a qualcuno». E non per un suo interesse, ma per quello dell'associazione camorristica. In una conversazione intercettata, si comprende cosa volesse dire «fare rappresaglia» a Nocera Inferiore. «Individuare immobili o auto appartenenti al gruppo nemico e far esplodere delle bombe carta e forse anche dei colpi d'arma da fuoco». Cuomo parla chiaro con Boffardi: «Faccio portare le pistole» e il secondo replica: «Se fanno quello che hanno fatto a me io gli sparo in collo, io lo so fare». Ma qualcosa forse va storto, perché in un'altra conversazione è sempre Luigi Cuomo, con Domenico Rese, a lamentarsi del comportamento di Boffardi, che non avrebbe fatto quanto richiesto: «Vabbuò ma che ci vu..uno ha da telecomandare, deve sparare a uno! Li dovevi pompare a questi guaglioni, dovevi fare qualsiasi rumore pure una coscetella». Cuomo, in sostanza, spiega che Boffardi avrebbe dovuto sparare a qualcuno, anche ad una gamba. E Rese replica: «È sceso anche senza la cosa, la tattica era solo di farsi vedere». Su possibili agguati da parte del clan rivale, è sempre Luigi Cuomo, nel riferirsi al fratello Michele, a sostenere che fosse impossibile che qualcuno arrivasse a spararlo in casa sua: «Ma che ti vengono a uccidere! Ma da quanti esiste la sparatoria in casa, dentro da me con cinque figli vengono dentro casa là e non sanno che un cristiano tiene pure una pistola a casa! Tu lo faresti?».
Il gruppo avrebbe tentato poi di comprare una partita di droga, forse per autofinanziarsi, ma l'affare sfumò in ragione dell'ostilità del clan rivale. È Michele Cuomo stavolta a cercare il fratello Luigi, che a sua volta si rivolse ad una persona che aveva promesso il suo aiuto.