Il Cristo abusivo del boss
compare sulla Statale in Campania

Il Cristo abusivo del boss compare sulla Statale in Campania
di Antonio Manzo
Martedì 4 Ottobre 2016, 21:30 - Ultimo agg. 7 Ottobre, 11:06
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Non siamo ad Oppido Mamertina dove la Madonna fu fatta «inchinare» per omaggiare l’anziano boss della ‘ndrangheta, reduce dall’ergastolo ma agli arresti domiciliari per motivi di salute e costretto sul balcone ad assistere alla processione. Siamo, invece, ad Eboli dove la statua di un Cristo a braccia aperte, accogliente e benedicente come quello di Maratea seppure in scala ridotta, è stata piazzata abusivamente da un boss della camorra, Roberto Procida, al centro di una delle rotatorie - precisamente a Cioffi - dove scorre la Statale 18 che conduce al Cilento.

Cristo abusivo è lì dove la strada era un tempo un rettilineo di asfalto e dove oggi, all’improvviso, ti consegna rotatorie con curve chicane più insidiose di un circuito sudamericano e con già un elenco di automobilisti morti in queste trappole mortali. Sarebbe fin troppo facile e, forse, anche offensivo richiamare l’abusata letteratura della città del Sud miracolata dalla immaginaria «sosta» di Cristo per segnare una presunta e virtuosa frontiera della civiltà. Cristo ad Eboli non si è mai fermato. E, quindi, non è mai ripartito. Ma, stavolta, Cristo è stato cementato dalle mani abusive della camorra ed è lì che si staglia tra asfalto e verde violato da oltre un mese sulla Statale 18. Perché qui, come scrive Francesco De Core nel suo libro-reportage sul sud Un pallido sole che scotta «la vera identità della Statale 18, quella che la rende unica nel suo disordine rispetto a qualsiasi altra via a scorrimento veloce di un’Italia che pare uguale dappertutto come una Las Vegas in trentaduesimo, è rappresentata dai caseifici» e anche da quella mozzarella connection che spesso diventa la strada più redditizia per riciclare il danaro sporco dei clan della camorra qui sempre attivi, tra vecchi leader ancora in servizio criminale permanente effettivo e insospettabili, ma non troppo, eredi delle nuove generazioni.

È anche la Statale 18 del Cristo abusivo da quando su questo giornale un coraggioso articolo di Francesco Faenza disvelò il «mistero» della statua che da qualche giorno beneficia anche di uno slargo con una toponomastica sapiente: ad un incolpevole Sandro Pertini è stata intitolata la piazzetta del Cristo abusivo che apre ad una distesa di terra e ghiaia, anch’essa effetto di sventramenti improvvisi, ruspe incontrollate a tutto gas, abbattimenti a raffica di eucalipti, quei filari di piante della riforma agraria che da oltre cinquant’anni segnavano il paesaggio della terra consegnata ai contadini. La già grave circostanza del Cristo abusivo installato da un boss della camorra sarebbe bastata ad azionare le ruspe senza attendere un attimo. Nessuno lo ha fatto, nessuno ha visto, nessuno ha avuto il coraggio di replicare, sia pure in infinitesima parte, la storica demolizione delle villette abusive, oltre cinquecento, sul litorale ebolitano. Era la fine del secolo scorso, storia passata, dimenticata, spesso misconosciuta dalla miseria politica delle periferie.
Ma, fatto ancor più grave, il Cristo abusivo troneggia nelle zone agricole della Piana del Sele dove l’invocazione della legalità e tolleranza zero vengono invocate e predicate per i povericristidi profughi in carne ed ossa che, prima sfruttati nei campi, sono puntualmente destinatari di ombre, sospetti e ingiurie alla pur minima scossa di cronaca nera. La statua del Cristo abusivo è lì, da qualche settimana oggetto di una ordinanza di demolizione del Comune. Il boss Procida, che si proclama anche presidente del comitato di quartiere, ribatte che l’ordine del Comune è nullo, inefficace: perché lui aveva chiesto da quattro mesi un’improbabile autorizzazione e che, essendo trascorsi i canonici trenta giorni dalla richiesta (siamo a fine aprile scorso), lui ha preso la palla al balzo e realizzato il Cristoabusivo e lo sbancamento dell’area circostante facendo ricorso al cosiddetto «silenzio assenso». Il ragionamento del boss è stato semplice e lineare, per lui: voi del Comune non avete risposto alla mia richiesta, ed io dopo trenta giorni considero il vostro silenzio come un ok. Procedo. Se tutto fosse rimasto in silenzio il Cristo abusivo non avrebbe fatto notizia. Fatto è che l’ordine di del Comune viene contestato dal boss: prima il silenzio del Comune, poi l’articolo del Mattino, 4 agosto scorso, e appena il giorno dopo, il 5 agosto, al Comune di Eboli spezzano la cortina di cilenzio ed emanano l’ordinanza. Burocrati timorosi mettono a posto le carte. Il boss replica: il vostro ordine è nullo e inefficace, è arrivato oltre il termine dei trenta giorni utili per la vostra risposta alla mia domanda di sbancare, costruire il Cristo, spianare ovunque. Anche se su aree che non sono di mia proprietà.
È stato così azionato il meccanismo di un vago contenzioso amministrativo: così alla richiesta di demolire la statua abusiva, il boss risponde picche, oppone resistenza continuando così ad «autolegittimare» la statua abusiva e lo sventramento dell’area pubblica adiacente al campo sportivo di Cioffi, magari contando nel futuro sul silenzio e la dimenticanza. O sulla giustizia amministrativa. La statua del Cristo abusivo è ancora lì, illuminata dalla energia elettrica pubblica pagata da tutti e installata dagli stessi mezzi della ditta che ha in appalto la gestione degli impianti elettrici per conto del Comune. Intoccabile il Cristo « abusivo». Beffa ancor più clamorosa è il fatto che questa sospetta «religiosità stradale» si era manifestata anche in un’altra rotatoria, qualche chilometro più avanti, dove devoti di padre Pio avevano installato una statua, anch’essa abusiva, del frate santo di Pietrelcina. Fu fatta rimuovere subito.

Ci voleva anche il Cristo abusivo a sfregiare le leggi, quelle del buon senso e del sentimento religioso. Perchè il Cristo abusivo è stato il primo passo per lo sventramento di un’area pubblica dove dovrebbe sorgere una imprecisata «zona camper», migliaia di metri quadrati, magari con improbabili gazebo per panini, oltre che con l’invito, già presente, della pubblicità di panini con hamburgher e hot dog prodotti da una multinazionale del gusto prèt a porter aperto qualche chilometro più avanti. Prevedibile un taglio di nastro, a questo punto, con tanto di benemerenza per chi rivendicherebbe perfino il merito di aver «ripulito» l’area pubblica per poi occuparla militarmente, in sfregio ad ogni legge. E, di fatto, «privatizzando» un bene pubblico quasi, paradossalmente, come un sottile baratto-ricompensa per i beni confiscati allo stesso clan Procida (un’azienda agricola che aspetta da un decennio di essere riutilizzata a fini sociali e due appartamenti, uno dei quali da pochi giorni sede di ArtHouse).
Non tutto è sorto in una notte, come non è da oggi che un campo sportivo di proprietà pubblica, sempre a Cioffi, ereditato dalla Riforma agraria e trasferito nelle proprietà comunali sia finito da quattro anni, con regolare delibera del Comune, nelle mani del clan Procida per una indefinita «custodia del campo» secondo l’intenzione degli amministratori dell’epoca. È il doppio volto della legalità dove Cristo non si è mai fermato: legalità remissiva se non silente con la camorra, ossessiva e inclemente con i povericristi in carne ed ossa considerati anche abusivi della storia da chi, proprio nella Piana, li sfrutta a due euro all’ora nei campi e poi «prega» Cristo, Padre Pio e la Madonna di Pompei. Ma solo di fronte a statue abusive.