Aveva solo 12 anni quando fu sottoposto alla prima perizia psichiatrica che evidenziò «condotte aggressive, scarso rendimento scolastico, disturbo della socializzazione e della personalità emotivamente instabile». Poi, con il trascorrere degli anni, prima l’uso di alcol in età giovanissima e poi di cocaina, hanno portato ad un peggioramento delle sue condizioni. Tanto che, proprio per dare soddisfazione alle sue esigenze di droga e anche di gioco, ha iniziato a commettere reati che lo hanno portato in carcere. Ma, anche qui, la vita per lui non è stata semplice. Vittorio B., oggi 28enne, residente a Boscoreale, ha cambiato diversi istituti penitenziari perché, come scrivono i giudici del tribunale di Sorveglianza, insofferente «alle regole inframurarie e allo status detentivo». Tant’è che è stato sottoposto a misure di punizione per la sua litigiosità, con detenuti ed agenti, e per aver rifiutato alcuni percorsi educativi. Ora Vittorio è ristretto nel carcere di Fuorni dove, proprio di recente, un altro detenuto con problemi psichiatrici è morto dopo una lite con alcuni agenti, evento che ha fatto scattare anche una inchiesta della procura di Salerno con l’iscrizione di due poliziotti penitenziari nel registro degli indagati. Il suo legale, l’avvocato Pierluigi Spadafora, che da poco ha assunto la sua difesa, proprio per «tutelare» il ragazzo, che deve restare in cella fino ad ottobre del 2023, ha chiesto all’Asl di competenza l’elaborazione di un programma di supporto terapeutico neuro-psichiatrico per consentire al 28enne di uscire dal carcere, andare in affido in prova ai servizi sociali e iniziare un percorso di recupero psichiatrico con conseguenziale reinserimento sociale. Mai, però, il legale si sarebbe aspettato un rimbalzo di competenze.
Le richieste si racchiudono tutte in una manciata di giorni (dal 5 al 10 maggio) durante i quali è emerso un rimbalzo di responsabilità tra il Dipartimento di Salute mentale del distretto 56 dell’Asl Napoli 3 e lo stesso distretto Asl.
«Il carcere - commenta l’avvocato Pierluigi Spadafora - dovrebbe avere una funzione rieducativa. Abbiamo certificazioni del fatto che il mio assistito è insofferente a questo regime, tanto da essere finito anche al pronto soccorso per un litigio con un compagno di cella, e soprattutto che ha delle gravi patologie. Cosa si aspetta? Che ci siano altre tensioni nell’istituto penitenziario? Oppure che lui, a fine pena, esca e torni a fare ciò che faceva prima? Magari si attende che ci scappi il morto, visto che è certificata non solo la sua aggressività ma anche il suo autolesionismo?». Quindi: «In questo strano giro di pec, non intravedo soluzioni... Eppure si tratta di un soggetto che ha bisogno di cure. Invece, vengono offerte soltanto sterili consulenze. E così rischiamo di rimettere in libertà una persona che ha delle problematiche serie, senza pensare a curarlo. Stiamo parlando di patologie pschiatriche». Il legale è pronto a portare la questione all’attenzione del ministro della Giustizia e di quello della Sanità.