L'odissea del finanziere «vicino al clan»,
la verità arriva solo dopo 19 anni

L'odissea del finanziere «vicino al clan», la verità arriva solo dopo 19 anni
di Petronilla Carillo
Venerdì 15 Novembre 2019, 06:30 - Ultimo agg. 10:05
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Diciannove lunghi anni di battaglie giudiziarie per dimostrare la sua fedeltà alla divisa e la sua estraneità al clan che faceva capo a Massimiliano Placanico. Diciannove lunghi anni in attesa che la Cassazione annullasse quella sentenza di condanna in Appello a cinque anni di carcere dopo aver incassato una assoluzione in primo grado. Da ieri il finanziere Luca Arpino è tornato a nuova vita, grazie anche al supporto del suo legale di fiducia, l’avvocato Felice Lentini. Nel corso di questi anni, Arpino ha ottenuto anche un risarcimento danni per quella che è stata ritenuta una ingiusta sospensione dal lavoro. Lavoro che poi lui stesso ha deciso di lasciare per evitare ulteriori complicazioni dopo le vicissitudine giudiziarie. Insomma, una vita alla sbando per la quale nelle prossime settimane il suo legale non esclude di chiedere un risarcimento per errore giudiziario. In quanto la vicenda riapre ancora una volta uno squarcio sulla credibilità dei pentiti e su quella che l’avvocato Lentini definisce «un mancato riscontro delle dichiarazioni rese». 

In servizio a Torre Annunziata, Arpino era stato accusato da due pentiti di essere organico ai Placanico, ai quali avrebbe anche fornito la droga portandola da Torre Annunziata a Salerno. In realtà il suo nome era venuto fuori già in fase investigativa in virtù di un vecchio rapporto di amicizia, nato quando sia lui che Placanico erano soltanto dei ragazzini. E anche il finanziere fu messo sotto intercettazione. Già in fase di udienza preliminare il gip di Salerno aveva ritenuto insussistenti i gravi indizi di colpevolezza contestati ad Arpino ritenendo che «non si rinvengono agli atti elementi per poter dare ad Arpino una veste nell’associazione» e, per rispondere alle accuse dell’Antimafia, aveva scritto che la «pg desume» che Arpino procuri clienti al clan sottolineando come, nelle intercettazioni telefoniche, «non si parla di droga ne direttamente, ne indirettamente». Di qui l’assoluzione per non aver commesso il fatto di Arpino in primo grado.

La vicenda però si è complicata durante il processo di Appello. Dopo quindici anni di silenzio, Dario Iannone, altro esponente di spicco della malavita organizzata salernitana, decide di collaborare con la giustizia accusando nuovamente Arpino e dichiarando di aver saputo della sua collaborazione con il clan direttamente da Placanico. Accuse che, in parte, aveva fatto anche un altro collaboratore, Andrea Cuomo, e di cui Iannone era a consocenza. «Il mio assistito è stato poi condannato - scrive Lentini nel ricorso in Cassazione - senza che fossero sentiti anche i testi a discarico o una comparazione tra le dichiarazioni dei due pentiti». 
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