Giovanissimi in coma etilico,
boom di intossicati al Ruggi

Giovanissimi in coma etilico, boom di intossicati al Ruggi
di Monica Trotta
Giovedì 15 Ottobre 2020, 06:35 - Ultimo agg. 10:42
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Alcol a fiumi. Che stordisce, ubriaca e alcune volte manda in ospedale. A bere, a volte senza misura fino a star male, sono soprattutto i giovanissimi, anche solo di tredici o quattordici anni. E una serata di divertimento davanti ai locali della movida può succedere che finisca quasi in tragedia. È accaduto lo scorso fine settimana, ma è una situazione che si ripete con cadenza frequente: i ragazzi si sballano con l’alcol e finiscono al pronto soccorso. Tra sabato e domenica si sono registrati all’ospedale Ruggi sette casi di intossicazione alcolica ed i ricoverati erano per lo più ventenni.

«In questo periodo in cui c’è un invito al contenimento a causa del Covid emerge ancora di più nei giovani la cultura dell’aggregazione intorno all’alcol per crearsi uno spazio di realizzazione ed un distacco dalla realtà di tutti i giorni - spiega Nello Baselice, membro della Società italiana di alcologia - Quello che più spaventa in questo periodo è che nonostante l’allerta per la diffusione dell’epidemia viene ostentato un diritto alla libertà a tutti i costi.

Sottovalutano il problema e si limitano a dire “tanto da nonna non vado”. C’è uno zoccolo duro che salta fuori proprio adesso e che ci fa capire quanto il problema alcol sia stato sottovalutato. Quello che preoccupa è che l’età di chi beve si è abbassata ad appena tredici-quindici anni. L’alternativa è chiudersi nel web o in altri rituali di alienazione come i gruppi creati sul web. Bisogna coinvolgere le famiglie e sollecitare i gestori al rispetto del divieto di bevande alcoliche ai minori». Ma perché i giovani bevono? Ci sono delle ragioni sociali o psicologiche che possono spiegare il fenomeno? «Si registra un abbassamento dell’età per tutti gli psicostimolanti, solo che l’alcol è socialmente più accettato rispetto alla cocaina ad esempio. Fa meno paura dire “mio figlio si ubriaca” rispetto a “mio figlio si droga” - spiega lo psichiatria Aldo Diavoletto - Il problema nasce da una disregolazione educativa, sociale e comportamentale che porta all’uso di sostanze da sballo: non ci sono valori e le agenzie educative sono allo stremo. È un problema socio-educativo e valoriale che si tende a psichiatrizzare chiedendo agli psichiatri la soluzione ad un problema che è principalmente sociale. La conseguenza è un aumento della depressione e della chiusura relazionale che si è accentuato durante il lockdown». 

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