Siamo giunti alla fine, chissà quale, lo si saprà tra non molto dopo lo scudetto del Milan, a Salerno i pensieri sono altri, le dita della Salernitana sfiorano quelle della speranza anche se Deulofeu insacca e manda la città nello sprofondo; la tensione stringe forte i polmoni e i muscoli, non lascia spingere in avanti verso la porta avversaria. La Salernitana subisce, prova a reagire ma resta tramortita, fatica a liberarsi dall'angoscia, la mente sta diventando una nemica, ti distrugge certe volte così come in altre ti risolleva; e arriva il secondo gol dell'Udinese. Gelo artico all'Arechi. Il rigore sbagliato di Perotti contro l'Empoli è di nuovo un'ombra larghissima e la Salernitana continua a non giocare, impantanata nella sua paura. E sono tre i gol dell'Udinese, siamo allo sconforto, lo stadio è ripiombato nel nulla, sul campo arrivano oggetti di varia natura che dichiarano il malessere di Salerno.
La squadra di Nicola è irriconoscibile, si muove impacciata, è immobile, ha le vertigini di fronte al baratro che si è aperto a dismisura; le mani di Belec sul rigore di Pereyra sono l'estrema disperazione di chi prova a non morire.
Non è più tempo di attendere, di tempo non ce n'è, l'orologio corre a Salerno e va piano a Venezia dove il Cagliari gioca per salvarsi ma deve vincere; e sono quattro. Il rigore sbagliato da Perotti a Empoli è diventato il mantra dei rimpianti. «E ancora prima del crepuscolo lo schermo d'argento/ del cielo di New York s'inonda/ con ettolitri di sangue di Hollywood. /Dove arriva l'impero di vetro e marmo? /Dove puntano i sottili missili dei grattacieli?/ Dio compra un hot dog /in fondo alla strada del sessantesimo piano. /Dio è nero / e ama il grigio del tangibile», scrive il poeta slovacco Pavol Janik. Ora la partita contro l'Udinese è il crepuscolo mentre il sangue su Hollywood è lo spreco di punti degli ultimi incontri che stanno pesando come una grave malattia sul corpo all'improvviso di vetro della Salernitana; l'attenzione è a Venezia, un'onda lunga di speranza e di attesa, c'è un boato per la notizia infondata del vantaggio dei lagunari: nonostante la tecnologia ci vuole poco a travolgere uno stadio in fibrillazione, capitava anche negli anni Settanta e Ottanta quando un fremito si sollevava soprattutto nelle curve fino a diventare vociare e poi esplosione, c'era poi la risacca della delusione mentre Dio mangia il suo hot dog. Non è cambiato niente da allora, la speranza spesso diventa una visione o, come in questo caso, allucinazione uditiva.
La serie A sta per terminare e si resta sospesi tra cielo e inferno per quanto all'Arechi l'inferno sia più visibile. Si sta cercando di arrivare al termine ma la capa è altrove, al nord, nella terra di Goldoni, anche perché mi sa che manco a porta vuota la Salernitana segna, le sta sbagliando tutte forse per demotivazione forse per deconcentrazione. Il tempo corre veloce a Salerno, va piano a Venezia, in panchina hanno le dita in bocca, si guardano tra di loro, si chinano forse su un cellulare a guardare la partita nel Veneto lontano. Nessuno vede più la partita nessuno gioca più la partita, la capa gira altrove. Bum bum bum, cuore forte a Salerno, le gambe tremano, le mani pure, il pallone va di qua e va di là, se fosse possibile a questo punto vorrebbero il maxischermo per vedere cosa accade a Venezia. Salernitana resta in serie A, lo annuncia in un grido rauco lo stadio.