Ucraina, il fotoreporter di Salerno al fronte:
«Ho visto gente fuggire con paura e dolore»

Ucraina, il fotoreporter di Salerno al fronte: «Ho visto gente fuggire con paura e dolore»
di Monica Trotta
Lunedì 14 Marzo 2022, 06:30 - Ultimo agg. 15 Marzo, 07:24
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Della guerra lo colpisce in particolare un aspetto, la popolazione che ne è vittima e che fugge per trovare rifugio in un altro paese. In conseguenza della guerra in Ucraina, ad aver lasciato il proprio paese sono già 2,5 milioni cittadini ucraini. Ecco perché Ivan Romano, fotoreporter salernitano, ha voluto essere lì, nel teatro della guerra. Per raccontare il dramma di un popolo e per quella necessità che è la molla della sua scelta professionale, cioè documentare ciò che accade nel mondo. Salernitano, quarant’anni, Romano lavora per agenzie nazionali ed internazionali. È appena tornato da un lungo giro in Polonia dove ha scattato immagini dei profughi che stanno lasciando l’Ucraina per raggiungere la Polonia e da lì altre destinazioni in Europa. 

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Romano, dove è stato?
«Sono partito in macchina con alcuni colleghi, è stato un giro itinerante e faticoso. Abbiamo viaggiato per ore, fatto diversi spostamenti, e a volte dormito anche a tre ore di distanza dal luogo dove avevamo lavorato. Avrei voluto raggiungere l’Ucraina ma poi sono venuti meno dei contatti che avevo lì per cui mi è sembrato rischioso andarci. Da quattordici anni documento i migranti, ho seguito la rotta balcanica, ho viaggiato con chi la stava percorrendo, ho documentato i campi nomadi. Mi interessa sempre questo aspetto delle guerre, ecco perché ho deciso di arrivare fino al confine tra Polonia ed Ucraina, sui valichi di montagna attraversati dagli ucraini che lasciano la loro terra martoriata ed arrivano in Europa».

 

Che cosa ha visto?
«Tra i vari posti sono stato a Medyka, un piccolo villaggio polacco a ridosso del confine. Ho visto migliaia di persone in fuga, composte nel loro dolore, che scappavano a bordo di mezzi, con auto private, a piedi. Chi è arrivato in macchina si è messo in coda ed ha dovuto aspettare anche ventiquattr’ore i controlli ai valichi di frontiera. La maggior parte delle persone è arrivata a piedi, un lungo corteo silenzioso formato soprattutto da donne, anziani e bambini, con i giovani che sostenevano i vecchi e li aiutavano a camminare. Hanno trovato per fortuna tanta accoglienza grazie alla macchina organizzativa che si è messa in moto, volontari che distribuiscono pasti caldi appena le persone mettono piede in Polonia».

 

Che cosa l’ha colpita?
«Colpisce quello sguardo sgomento dei profughi. Arrivati al confine devono separarsi dai loro affetti, dai padri e mariti che devono restare in patria, dalle proprie cose. Ma la loro è anche una separazione geografica perché devono lasciare la loro terra. Ho visto anche pianti di felicità quando trovano familiari o amici ad abbracciarli dall’altro lato del confine».

 

C’è una differenza tra i profughi che scappano dall’Ucraina e gli altri che ha visto in altri posti del mondo?
«Le persone che fuggono da questa guerra sono persone spaventate, hanno la paura negli occhi ed uno stress psicofisico dovuto all’attualità della guerra. Nei migranti della rotta balcanica è una paura per così dire più sedimentata. Non ci si abitua mai a vedere queste scene che per certi versi sono tutte uguali».

 

Come ha cominciato la sua carriera?
«Sono cresciuto con uno zio che era un strillone di giornali, ho vissuto sempre tra riviste e giornali e credo che da lì sia venuti il mio interesse per la cronaca. Mio padre mi ha trasmesso la passione per la fotografia. Nel 2000 la svolta quando ho deciso di comprare la prima macchina analogica e abbandonare quelle che lui mi prestava. Ho capito che sarei diventato un fotoreporter. Ho iniziato facendo reportage fotografici di politica, seguendo manifestazioni e proteste. Mi interessano molto anche le feste religiose. Ma è l’esodo delle persone il filo conduttore dei miei ultimi lavori». 

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