Seguito con il Gps e licenziato,
lavoratore vince ricorso: reintegrato

Seguito con il Gps e licenziato, lavoratore vince ricorso: reintegrato
di Nicola Sorrentino
Sabato 10 Settembre 2022, 16:15
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Era stato licenziato, ma i giudici lo hanno reintegrato per poi condannare la società presso la quale lavora al pagamento delle mensilità non lavorate. È l'esito di una controversia che ha visto protagonista un dipendente impiegato presso un centro di riabilitazione di Cava de' Tirreni. L’uomo - delegato sindacale e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza - nel corso dell’emergenza sanitaria Covid denunciò presunte mancanze imputabili all’azienda in materia di sicurezza. La società aveva ravvisato nei suoi confronti estremi d’illegittimità - rivelatisi poi infondati - relativi alla violazione della legge 104 del 1992. Così partì la lettera di licenziamento, con l'uomo che si affidò per resistere in giudizio seguito dai legali Veronica Pichilli e Gianquirino Cantalupo. Stando a quanto ricostruito dai legali, il dipendente era stato seguito da un investigatore privato ingaggiato dalla stessa azienda che - tramite i riscontri col Gps installato sulla vettura della compagna - era risalito ai suoi spostamenti durante i permessi di lavoro chiesti per accudier la madre, malata ma non allattata. «Il dipendente era stato intercettato all’esterno di un supermercato – spiegano i legali - o mentre accompagnava la madre presso una struttura assistenziale diversa da quella dove lavorava. Insomma nessun illecito, piuttosto un pretesto architettato dall’azienda per licenziare il lavoratore». 

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Gli avvocati hanno sottolineato al giudice la natura del provvedimento disposto dalla società e - a fronte ulteriore di carenza di riscontri prodotti dall'accusa - il tribunale ha dichiarato nullo il licenziamento. «La parte ricorrente - spiega la sentenza del tribunale di Nocera Inferiore - ha espressamente dedotto l’illegittimità delle investigazioni effettuate nei suoi confronti per la mancanza del sospetto legittimante il controllo difensivo a suo carico ed ha sostenuto che gli accertamenti investigativi erano stati richiesti per ricercare una ragione per porre fine al rapporto di lavoro, evidenziando in proposito che l’azienda non gli aveva mai riconosciuto il ruolo di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza rivestito.

Appare possibile anche ritenere che l'azienda abbia conferito incarico all’agenzia investigativa proprio al fine di ricercare eventuali ragioni per costruire un’azione disciplinare nei confronti del lavoratore (scomodo in ragione del fatto di aver denunciato comportamenti, a suo avviso, illegittimi tenuti dalla società». I giudici hanno accordato, dunque, la reintegrazione nel posto di lavoro con condanna al pagamento di tutte le mensilità dal giorno del licenziamento (10 mesi).

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