«Io istigatore del corteo anti-Lega?
Iniziativa spontanea che rifarei»

«Io istigatore del corteo anti-Lega? Iniziativa spontanea che rifarei»
di Clemy De Maio
Mercoledì 16 Ottobre 2019, 06:55
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Un po’ sorpreso, ma soprattutto sereno. Gennaro Avallone, docente universitario di Sociologia e ricerca sociologica, sorride all’idea di essere ritenuto l’istigatore di una manifestazione organizzata in violazione delle leggi di pubblica sicurezza perché non annunciata alla Questura. È l’ipotesi formulata dal giudice delle indagini preliminari Piero Indinnimeo, che l’altro ieri ha respinto la richiesta di archiviazione proposta dalla Procura e ha ordinato l’imputazione coatta per Avallone e altri 11 protagonisti delle proteste anti Lega di circa un anno fa. Era l’11 settembre del 2018, un centinaio di attivisti e simpatizzanti del partito di Salvini giunsero su lungomare Trieste per sfilare in una “passeggiata per la legalità” che puntava l’indice contro lo spaccio di droga e la presenza di ambulanti abusivi, ma trovarono ad accoglierli fischi e cori.

«Non fu una contromanifestazione organizzata, ma un’iniziativa spontanea» puntualizza Avallone. Una scelta che rifarebbe anche adesso, in ossequio a quello che definisce il “dovere civico” di schierarsi a tutela della democrazia. «Se davanti casa mia organizzano un qualcosa che chiamano passeggiata ma che chiaramente allude alle ronde, io vado – sottolinea – Vado a vedere che succede e vado anche a fischiare, perché in una democrazia le attività di controllo sono demandate alle forze dell’ordine e non ai privati. Quel giorno è andata così: sono sceso di casa e sono andato per prima cosa a incontrare i miei amici senegalesi, persone con cui lavoro da anni e con cui faccio non solo iniziative politiche per la tutela del lavoro ma anche ricerca in Università. Certo sono poi stato contento di trovare lì anche altre persone, ma non ci eravamo organizzati, ognuno aveva scelto di andare in assoluta autonomia». A lui e a un altro degli indagati sono contestati i post su Facebook, in cui si sarebbe sollecitata una mobilitazione della città contro il corteo leghista. «Ho scritto “andiamo a fare una cantata” – replica – ma era una frase ironica, che citava la famosa canzone contro i napoletani intonata da Salvini. Un modo per dire che andrebbe ripristinata un po’ di serietà».

Attenzione, però, a ridurre la questione a un dibattito pro o contro la Lega. La vicenda, secondo il docente, rivela un tema molto più esteso: «Il punto è se in Italia la libertà di espressione e manifestazione del pensiero è garantita fino in fondo nei termini del dettato costituzionale. Quello che io e altri abbiamo attuato è stata appunto l’espressione di un’opinione, senza un processo organizzativo, e va compreso se ciò è pienamente tutelato. Io credo ci sia nel Paese un problema di agibilità democratica, ma sia chiaro non c’entra nulla col fatto che abbiamo avuto un governo Salvini, è un problema di lettura della Costituzione».

 Di lettura di norme penali e procedurali dovranno invece occuparsi i difensori, che presto si ritroveranno davanti a un giudice per l’udienza preliminare: «È una situazione grottesca – commenta l’avvocato Emiliano Torre – Mancano tutti gli elementi (organizzazione, sobillazione, messa in pericolo dell’ordine pubblico) per ritenere applicabile il testo unico sulle leggi di pubblica sicurezza.

Con un’interpretazione così estensiva diventa difficile, in tema di manifestazione del pensiero, capire cosa si può fare e cosa no». Per la battaglia legale c’è aperto anche un altro fronte, quello che riguarda due manifestanti bloccati a terra dalla polizia dopo che avrebbero rifiutato di esibire i documenti d’identità: furono denunciati e ora sono indagati per resistenza a pubblico ufficiale. Ma questa è un’altra storia.

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