L’urlo del medico in trincea a Bergamo:
«Qui si muore, non lo avete capito?»

L’urlo del medico in trincea a Bergamo: «Qui si muore, non lo avete capito?»
di Danilo Sorrentino
Martedì 7 Aprile 2020, 06:15 - Ultimo agg. 07:32
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Pochi giorni fa un suo post su Facebook ha raccolto numerose interazioni e condivisioni. Parlava del dramma che si vive nella Bergamasca, di ambulanze attivate ma mai arrivate a casa dei pazienti in difficoltà, ma anche dell’incoscienza (per usare un eufemismo) con cui il problema viene percepito al Sud. «Forse non avete capito che si muore», il grido d’allarme lanciato dal suo profilo. Alessandro Nota è un medico trentenne di Nocera Inferiore, da meno di un anno ha fatto una scelta di vita e di amore. Si è trasferito a Treviolo, tranquilla cittadina di diecimila anime in provincia di Bergamo, per unirsi alla fidanzata Monica Fortino, anche lei originaria di Nocera Inferiore e tecnico di laboratorio all’ospedale Papa Giovanni XXIII, uno dei più colpiti dall’emergenza sanitaria. Lei stessa è in trincea in questo particolare periodo ed esposta al Coronavirus. Dallo scorso 18 febbraio, quindi pochi giorni prima che scoppiassero i primi casi di Coronavirus in Lombardia, Alessandro sta sostituendo un medico di base di Ardesio, sempre nella Val Seriana, occupandosi di un’utenza di circa tremila anime. 
 

«Per noi medici di base - ha raccontato - non è stato affatto semplice. E tuttora non lo è, perché mancano ancora indicazioni chiare sulla gestione dei pazienti e sulle terapie. Da una settimana sono state istituite delle unità speciali, denominate Usca, dedicate appositamente ai pazienti con sintomi, per cui noi medici di base siamo stati sollevati dall’effettuare visite mediche domiciliari». Anche perché il cosiddetto “medico di famiglia” è stato inviato in guerra senza armi, pagando uno scotto numeroso anche in termini di decessi: «La dotazione di dispositivi di protezione è stata lenta ed inadeguata, per questo diversi medici di base hanno evitato le visite a casa dei pazienti. Io, per fortuna, mi ero procurato una mascherina ffp3 che ho acquistato a mie spese in tempi non sospetti, quindi ho proseguito con il lavoro regolarmente. Ma in molti hanno dovuto rinunciare». 

Dall’interno, il modello sanitario della Lombardia ha registrato delle pecche: «Non abbiamo ricevuto direttive chiare, nemmeno sulle terapie da effettuare. Anche perché in molti casi non sappiamo neppure se il paziente è contagiato o meno dato che i tamponi non vengono effettuati. Addirittura ci sono dei pazienti ai quali non è stato effettuato neppure il secondo tampone, altri che sono risultati positivi ed ora sono in attesa di effettuarlo per sapere se hanno debellato il virus. La responsabilità è stata scaricata su di noi - ha ammonito il dottor Nota - senza la possibilità di fornire cure adeguate ai pazienti, se non l’ossigeno che consente un recupero a soggetti con un quadro clinico non grave. Almeno su questo sin da subito abbiamo avuto la possibilità di intervenire».
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