Peppe, il calciatore-donatore:
«Un rene per salvare mio fratello»

Peppe, il calciatore-donatore: «Un rene per salvare mio fratello»
di Pasquale Tallarino
Martedì 29 Gennaio 2019, 06:05 - Ultimo agg. 06:50
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«Mio fratello stava male, era in dialisi ormai da due anni. Lo vedevo soffrire e ho preso una decisione necessaria, meditata. Gli ho detto “eccomi, ci sono”». Giuseppe (Peppe) Peluso, capitano storico dell’Alma Salerno, società di calcio a 5, ha alzato la mano e si è presentato volontario. Stavolta non c’era da dribblare un avversario per la battuta a rete, anzi bisognava andare incontro consapevolmente al proprio destino di donatore, senza schivarlo. Giuseppe Peluso lo ha fatto: ha detto sì e adesso ha un solo rene. L’altro è stato trapiantato dentro il corpo di Michele, suo fratello maggiore, più grande di 5 anni. Lo scorso 18 dicembre, i due Peluso si sono ritrovati a Padova, al Policlinico, presi in cura dall’equipe del professore Rigotti. «Adesso vedo mio fratello sereno – sospira Giuseppe, che è da un paio d’anni diventato anche papà». “Di padre in figlio” - tormentone della curva Sud della Salernitana della quale Peppe Peluso è molto tifoso e della quale è stato giocatore delle giovanili - è anche il sottile e virtuoso filo conduttore che ha legato nel tempo Antonio Peluso, in passato cronista sportivo, oggi dirigente e direttore generale dell’Alma Salerno, ai propri figli. Al primo, Michele, il dg Antonio aveva a propria volta donato un rene nel 2003. Poi l’insufficienza renale si è ripresentata e c’è stato bisogno di un altro trapianto, tanti anni dopo. Da qui nasce la favola di Giuseppe, il più piccolo, ruolo universale nel futsal e jolly prezioso, anzi salvavita fuori dal campo. «Sono cresciuto in una famiglia di sani principi: valori forti, sempre tutti per uno e uno per tutti – commenta Giuseppe Peluso – lo sport mi ha insegnato la lealtà, lo spirito di sacrificio, il rispetto. Nello sport ho ritrovato mio padre come guida ed esempio. A lui mi sono rivolto quando ho dovuto prendere la decisione più delicata, mica una passeggiata. Un trapianto è un trapianto, ma lui l’aveva fatto prima di me».
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