Scade il permesso di soggiorno, niente cure:
muore da clandestino dopo 20 anni in Italia

Scade il permesso di soggiorno, niente cure: muore da clandestino dopo 20 anni in Italia
di Viviana De Vita
Martedì 2 Febbraio 2021, 06:55 - Ultimo agg. 13:11
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È morto da clandestino, dopo aver lavorato per vent’anni a Salerno con un regolare permesso di soggiorno che, dopo la scadenza, non è più riuscito a rinnovare perché inchiodato in un letto da una grave forma tumorale. Se n’è andato dopo essersi scontrato contro il muro di gomma della burocrazia che, ritenendolo irregolare, gli ha negato il diritto al medico di base, alla prescrizione di cure specifiche, e soprattutto, ad accedere alla domanda di invalidità in quanto non autosufficiente. Senza quel documento non ha potuto più beneficiare nemmeno del reddito di cittadinanza, unica fonte di sostegno nell’ultima fase della sua vita. È la drammatica e paradossale storia di Selimovik, uno dei tanti stranieri presenti sul territorio italiano: un numero e un nome, come tanti spesso impronunciabile, su un fascicolo della Questura immigrati. A raccontare il dramma del 45enne, che per anni ha lavorato regolarmente presso la parrocchia del Crocifisso in via Mercanti, nel cuore della città, è il suo legale, l’avvocato Gerardo Di Maria, che dallo scorso dicembre ha combattuto la battaglia contro i tanti ostacoli burocraticiper fargli riottenere il permesso di soggiorno.

Il calvario per il 45enne, affetto anche da disturbi psichici, è iniziato due mesi fa quando al Ruggi gli è stato diagnosticato un carcinoma.

La notte del ricovero, l’uomo è scappato scalzo e in pigiama in preda ad un attacco di panico. Ritrovato per strada, a terra privo di conoscenza, è stato riportato in ospedale dove gli sono state diagnosticate delle gravi complicanze polmonari. L’assenza di rapporti affettivi, l’improvvisa interruzione del lavoro esercitato per anni e l’impossibilità di ogni sostegno a causa dell’aggravante covid, hanno fatto il resto generando un crollo fisico e mentale dell’uomo.

«Il mio assistito – spiega il legale – è diventato all’improvviso “inesistente”, perché cancellata la sua posizione giuridica conquistata in tanti anni di sacrifici per uscire dalla clandestinità. Nel dicembre scorso ho chiesto alla questura un appuntamento spiegando tramite pec – l’unico mezzo che al momento ci consente di comunicare con la pubblica amministrazione e dietro al quale si trincerano e si irrigidiscono le procedure – che il 29 gennaio sarebbe scaduto anche il passaporto». Dopo un primo appuntamento a maggio 2021, l’avvocato è riuscito a “strappare” un anticipo ma, quando si è recato in questura senza il proprio assistito che, allettato, non poteva uscire di casa, gli è stato riferito che per ottenere il nuovo documento c’era bisogno di prendere nuovamente le impronte digitali: l’uomo avrebbe dovuto recarsi fisicamente presso l’ufficio immigrati. «Siamo certi – conclude l’avvocato – che questa vicenda è stata gestita in adesione al protocollo e alla realtà burocratica ma la storia di Selimovik e quella di tanti stranieri come lui, mostra che occorre una gestione differente della pubblica amministrazione».

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