«Mio nipote ricorda tutto: ancora oggi non si dà pace e ripete sempre: sono il figlio di un assassino». È raccapricciante il racconto reso ieri nella sala teatro del carcere di Fuorni da Giovanni Maiorano, fratello di Nunzia, la 41enne di Cava dei Tirreni uccisa il 22 gennaio del 2018 nella sua abitazione a Sant’Anna con 47 coltellate infertele dal marito. L’uomo, che insieme al fratello si è preso cura dei tre figli orfani di femminicidio, è intervenuto nell’ambito della manifestazione “Noi siamo qui per Ecuba” voluta, in occasione della giornata contro la violenza sulle donne, dalla direttrice del carcere di Fuorni Rita Romano che da tempo ha avviato all’interno del penitenziario salernitano un percorso finalizzato al recupero dedicato ai detenuti che stanno scontando pene che riguardano la violenza di genere.
«Mio nipote – racconta Giovanni Maiorano – era lì quando mia sorella è stata seviziata dal marito.
«Ancora oggi – ha concluso l’uomo – porto con me il rimorso per non essere stato in grado di difendere Nunzia. Forse se fossi andato dai carabinieri o se mi fossi rivolto a qualche centro antiviolenza a quest’ora lei sarebbe ancora con noi e con i suoi figli che sono le prime vittime di questa storia». Ma i protagonisti di ieri sono stati soprattutto i detenuti, in particolare i trenta “definitivi” che a Fuorni, oltre a scontare la pena per i reati commessi ai danni delle donne, sono stati inseriti in un percorso di recupero voluto dalla direzione. «Anche se mia moglie mi ha perdonato – ha affermato un 38enne salernitano, detenuto dal 2019 a Fuorni dove sta scontando una condanna per maltrattamenti in famiglia – io porterò sempre con me il dolore per averle fatto del male. Sono pentito e sento di non essere più quello di una volta: nella vita si impara dagli sbagli e si può cambiare. Se non cambi vuol dire che non sei un uomo. Quando uscirò da qui tornerò da lei e dai nostri bambini per ricominciare daccapo».
Sofferta anche la testimonianza di un 68enne di Pontecagnano condannato per tentato omicidio per aver accoltellato l’amante per strada; l’uomo, per quel reato, deve scontare ancora 3 anni. «Ero accecato dalla gelosia ma oggi, grazie anche al percorso che ho seguito in carcere, ho capito quello che conta davvero nella vita. Voglio tornare a casa da mia moglie e dai miei figli». Non sono mancate le testimonianze delle detenute, come quella di Alessandra.
«L’amore e la violenza – ha affermato – sono due cose diverse: chi ama non fa male. Il mio ex era violento e mi perseguitava; purtroppo all’epoca non esisteva il reato di stalking e i carabinieri, nonostante le mie ripetute denunce, non potevano fare nulla».