«Nessun patto camorra-politica»,
chieste le condanne solo per gli affiliati

Il capo clan Antonio D'Auria Petrosino
Il capo clan Antonio D'Auria Petrosino
di Nicola Sorrentino
Venerdì 11 Giugno 2021, 08:00
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«A Pagani esisteva un gruppo criminale, ma non per tutti ne è stata dimostrata l’appartenenza. Nessun patto con la classe politica. I rapporti tra quest’ultima e la camorra non sono stati provati». Così ha esordito il pm dell’Antimafia Elena Guarino, nella requisitoria per il processo «Criniera», l’indagine condotta dall’allora pm Vincenzo Montemurro riguardo i presunti intrecci tra camorra e politica a Pagani, dal 2008 al 2010, ma anche dell’esistenza del clan «Fezza-D’Auria Petrosino». Un processo, quello attuale, che nasce dal precedente «Linea d’ombra», che aveva assolto tutti gli imputati dalle accuse di camorra. Sono 20 le condanne chieste ieri per altrettanti imputati, per circa 218 anni di carcere. A capo di questo presunto clan, con l’ipotesi di associazione di stampo mafioso a sussistere solo per alcuni imputati, vi sarebbero stati i fratelli Antonio e Michele Petrosino D’Auria. Nei ruoli di associati i fratelli Vincenzo e Daniele Confessore e Francesco Fezza, figlio del boss Tommaso.

Ci sono stati una serie di reati di scopo - ha spiegato il pm - quali estorsioni, usura, impiego di soldi illeciti, riconducibili ai fratelli D’Auria e di altri in una serie di attività di controllo criminale del territorio».

Per i fratelli Antonio e Michele, il pm ha chiesto 21 e 18 anni di carcere, mentre 18 per i fratelli Confessore, così come per Francesco Fezza. Nel riprendere i singoli capi d’accusa, la Procura ha richiamato un’intercettazione ambientale dove Vincenzo Confessore, nel parlare con il fratello Daniele, riferiva di rivolgersi ad «Antonio o Francesco» per mandare soldi all’avvocato. Dunque, a riscontro dell’esistenza di «un’organizzazione criminale» che stipendiava, manteneva rapporti e pensava a strategie difensive, con i referenti indicati in Antonio D’Auria e Francesco Fezza. Per il pm Elena Guarino, Antonio D’Auria Petrosino, attraverso società impegnate nel commercio di ortofrutta, avrebbe estromesso altre persone per gestire il trasporto su strada. L’imputato, attraverso delle dichiarazioni spontanee, si è dichiarato estraneo ai fatti, spiegando di essere stato solo un dipendente di quelle società. Secondo i collaboratori di giustizia, ma anche da intercettazioni, al suo nome fu riconosciuto invece un ruolo di primo ordine, utile agli affari. Il fratello Michele - secondo il pm - avrebbe avuto interessi in altre attività, come la gestione di un parcheggio comunale «dove se c’era qualche problema non si parlava con i vari intestatari, ma direttamente con Michele Petrosino». I due fratelli avrebbero utilizzato intestazioni fittizie e prestanomi, non potendo comparire in prima persona. Il pm ha chiesto 5 anni anche per Renato e Gerardo Cascone, Francesco De Risi e Aniello Esposito, 15 anni per Gennaro Napolano, così come per Gennaro Galdieri e Michele Califano. Diverse anche le richieste di assoluzione, come per il «boss» Tommaso Fezza, Rita Fezza, Giuseppe De Vivo e Salvatore De Maio. Assoluzione chiesta anche per l’ex sindaco Alberico Gambino, verso il quale il pm ha richiamato una precedente sentenza di assoluzione per Giovanni Pandolfi Elettrico, ex presidente della Multiservice. Gambino risponde di un tentativo di estorsione, insieme ad altri, finalizzato a favorire la gestione delle aree di sosta ad una coop vicina a Michele D’Auria Petrosino. Per l’ex consigliere comunale Massimo D’Onofrio è stato chiesto il non luogo a procedere per prescrizione. A riguardo, il pm ha spiegato che vi è stato un errore nella contestazione del reato, che avrebbe dovuto essere quello di «scambio elettorale politico-mafioso» e non di semplice concorso. Le prossime udienze sono previste per luglio e settembre. 

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