Operazione Porta a porta a Salerno:
«Metti la roba nel portafarmaci»

Operazione Porta a porta a Salerno: «Metti la roba nel portafarmaci»
di Petronilla Carillo
Mercoledì 15 Settembre 2021, 06:40 - Ultimo agg. 18:27
4 Minuti di Lettura

«Signora sto venendo, sto sopra l’autostrada». «Ora che arrivi bussami direttamente non chiamarmi che sono al telefono». «E dove busso?». «Alla saracinesca». «Ah, vabbene». «C’è il pulsante...tanto io.. basta che vieni vicino dove sta il portafarmaci, sta la saracinesca aperta... basta che bussi... oppure dall’altro citofono». Lui, il pusher, è Renato Castagno. Lei è la dipendente di una farmacia di Eboli in servizio notturno. E ha chiesto dello stupefacente, «siamo tre di noi», dice la donna al telefono. Sono le 22.54 quando i due si sentono. Hanno confidenza anche se il ragazzo la chiama signora, lei allegramente lo saluta con un «brò», diminutivo di brother, nomignolo che viene intercettato spesso dai carabinieri. Alle 23.25 il giovane riferisce alla donna di aver avuto l’auto per la consegna ma succede un intoppo: c’è un posto di blocco e Castagno richiama la donna per dirle che sta rientrando a Salerno, che non può rischiare. Ma lei lo convince ad andare avanti, perché è uscita fuori, ed ha personalmente constatato che «è tutto tranquillo», quindi gli ripete che lo aspetta in farmacia. Poi gli indica la strada per telefono perché lui ammette «non conosco le strade». Quando arriva la droga viene inserita nello sportello portafarmaci, lei mette i soldi e lo scambio è fatto. Tra i clienti del gruppo Pietrofesa c’è anche un infermiere e ci sono anche diverse donne, come una di Cava de’ Tirreni, persone di Maiori, di Nocera, di Pagani, della Valle dell’Irno. Ci sono poi i professionisti, come quello che viene chiamato spesso «avvocà».
LA TRATTATIVA 
I Pietrofesa cedono dosi anche agli Errico di Nocera Superiore. E la trattativa è «importante». Giovanni Errico, dopo l’arresto del fratello Guido chiede loro «sessanta e sessanta» ma la richiesta, presentata la mattina, può essere esaudita soltanto di sera. Così Errico si arrabbia: «sì, ragazzi ma voi mi chiamate alle otto di sera... io già sono andato a fare... avete capito? Quello mi aveva detto mezz’ora e mi faceva sapere e mi rimanete imballato a me». A portare avanti la trattativa è Ciro Casaburi che gli dice il prezzo: «Voi volete la pietra... zio... vi parlo proprio sincero, meno di mille e duecento euro non ve la posso dare...». «No, no non date retta per amor di Dio». Casaburi si confronta con Fabio Romanato: «Ci dobbiamo affondare due o trecento euro». «Non fa niente». «Ora gli sparo mille e cento euro ma deve venire lui qua». La trattativa, alla fine, finisce con un pagamento di 950 euro. Prima però c’era stato un consulto tra il gruppo: Errico voleva pagare dodici la coca, dieci l’eroina. Loro chiedevano il doppio.
IL CONTROLLO
Durante una delle trasferte in Costiera, per consegnare un «ovetto» ad un cliente di Minori, Fabio Romanato riesce a superare il controllo dei carabinieri che lo fermano. Lo racconta al fratello Alessandro, dicendo di essere «troppo forte, troppo forte» nel saper nascondere la merce così bene che neanche lui riusciva mai a trovare, anche a casa, i «puparuoli».
LE BASI OPERATIVE
C’è un’area ben circoscritta dove il gruppo dava appuntamento quando il cliente preferiva andare lui ad effettuare il ritiro. Ed è l’area compresa tra un fioraio che si trova in via Memoli angolo via Nizza e il bar prospiciente, sempre in via Memoli. Mentre tutti gli associati si trovavano sempre in via Capone, presso l’abitazione di Alessandro Leone, cugino dei Pietrofesa, oppure nei giardinetti in zona Marconi, a Torrione. Altrimenti il più delle volte erano loro a spostarsi, con la consegna, appunto, «porta a porta» e per muoversi utilizzavano diversi mezzi, da scooter ad auto. Ma, spesso, proprio per sfuggire ai controlli dei carabinieri, effettuavano noleggi brevi di auto. In un primo momento il gruppo si accontentava di ciò che trovava poi, dopo un controllo e un fermo ad un posto di blocco, hanno iniziato a chiedere auto con targhe italiane e non più straniere, proprio per evitare problemi e seccature con le forze dell’ordine.

Alcuni spacciavano nonostante l’obbligo di firma dai carabinieri, e in quella circostanza camminavano senza il telefono dedicato, in altri anche in regime di domiciliari.

© RIPRODUZIONE RISERVATA