Nella fabbrichetta del doping
tra marijuana e alambicchi

Nella fabbrichetta del doping tra marijuana e alambicchi
di ​Petronilla Carillo
Mercoledì 10 Luglio 2019, 07:00 - Ultimo agg. 11:15
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Scatole di plastica con dentro polverine di diverso tipo, ampolle, capsule in gelatina vegetale, piccole bilance, qualche arnese molto rudimentale, qualche bollitore e macchinari di uso comune. Tutto perfettamente sistemato al proprio posto. E poi materiale per preparare confezioni ed etichette per indicare la sostanza e dare una parvenza di legalità. 
 
Quello scantinato all'interno di un vecchio palazzo nel cuore della città antica, a Capaccio Paestum, era diventato il loro laboratorio segreto. Ma anche la loro serra dove coltivavano marijuana per uso medico poi risultata a sua volta «dopata» con FHC, ovvero acidi nucleici che ne potenziavano la crescita. In quel piccolo locale confezionavano sostanze di «qualità» - come da loro indicato sui siti specializzati per la vendita on line - e dal quale riuscivano a gestire un giro d'affari di diverse centinaia di migliaia di euro, producendo ampolle e compresse di tutti i tipi e per tutte le necessità. Quando i carabinieri del reparto operativo del Comando tutela Salerno del Nas di Roma, agli ordini del colonnello Andrea Zapparoli, hanno fatto irruzione vi hanno trovato soltanto due persone, i due gestori della piccola «impresa», Michele Ricco e Rocco Bernardi. Ma, secondo i militari del Nucleo antisofisticazioni, non avrebbero lavorato da soli. Tant'è che una terza persona, un rumeno, al momento è ancora ricercato: dovrebbe essere lui l'intermediario dei traffici con i Paesi dell'Est. E sono proprio i due capaccesi, in pratica, i protagonisti principali di una indagine transnazionale che ha consentito di portare alla luce un traffico illegale di sostanze dopanti tra l'Italia e la Romania. 

E in quegli scatoloni ben sistemati su scaffali e mobili poveri, i carabinieri vi hanno trovato di tutto: steroidi anabolizzanti androgeni, esogeni come androstenediolo, androstenedione, androsterone, testosterone, deidroclormetiltestosterone; ossimesterone; nandroconi; ormoni della crescita, sostanze inibitorie e tanti altri principi attivi con i quali venivano realizzate le sostanze dopanti destinata alle vendita on line. Un laboratorio artigianale al quale si dedicavano i due italiani, nessuno dei quali era in possesso di un titolo di studio «certificato» e specialistico in chimica o farmacia. Insomma, due avventurieri che - secondo i carabinieri del Nas - potrebbero aver imparato «l'arte» anche su internet, attraverso corsi fai da te, ma che di certo erano riusciti ad inserirsi all'interno di un circuito di vendita illegale di sostanze dopanti a livello internazionale. Un punto di riferimento «importante» secondo la procura di Enna che ha coordinato le indagini dell'operazione Viribus e che, grazie proprio al lavoro dei carabinieri del Nas, ha portato alla luce un giro d'affari di circa un milione di euro. 

I due capaccesi, secondo quanto accertato nel corso delle indagini, avrebbero gestito tutto via internet: dall'acquisto dei principi attivi, che arrivavano in gran parte per spedizione dai paesi dell'Est, alla vendita del prodotto finito. I venditori, nell'ambito del loro e-commerce illecito, dispensavano pure consigli su come assumere i farmaci vietati, redigendo planning terapici, pur non avendo alcuna preparazione. I carabinieri del Nas di Roma sono arrivati a loro - era il mese di marzo ma i dati sono stati ufficializzati a livello internazionale solo ieri - proprio tenendo sotto osservazione alcuni social e siti internet «visitati» da gestori di palestre, sportivi - al nord Italia anche professionisti - in questo modo speravano tutti di eludere i controlli, utilizzando false identità e strumenti di pagamento digitali. Oppure PostePay e utenze telefoniche intestate a terze persone ignare di tutto. Quando si recavano agli sportelli delle banche per effettuare prelievi, camminavano all'indietro per non farsi riprendere dalle telecamere. Dalle indagini è emerso che oltre che in tutta Italia, le transazioni arrivavano anche all'estero: in Bulgaria, Slovecchia, Polonia, Romania e Serbia. 

Attraverso il controllo del web, i carabinieri del colonnello Zapparoli sono riusciti anche ad individuare gli atleti, professionisti e non che acquistavano i prodotti non solo dal laboratorio capaccese ama anche dagli altri dieci laboratori, inseriti nello stesso circuito illegale e sparsi in tutta Europa.

I soggetti sono stati segnalati alle autorità del proprio luogo di residenza e i loro nominativi monitorati così, quando andavano a fare le gare, i militari del Nas, assieme al Nado (il Nucleo antidoping) si recavano negli spogliatoi ed eseguivano tutte le analisi. Seicento gli sportivi controllati nel corso delle indagini, in quanto possibili acquirenti delle sostanze illegali, diciannove quelli trovati positivi. Tra loro un ciclista amatoriale napoletano.

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