«Fare teatro sul serio significa sacrificare una vita, sono cresciuti i figli, non me ne sono accorto, menomale che mio figlio è cresciuto bene... devo a lui il resto della mia vita, lui ha contraccambiato in pieno... si è presentato da sé, è venuto dalla gavetta, dal niente, sotto il gelo, e le mie abitudini teatrali, quando sono in palcoscenico a provare, quando ero in palcoscenico a recitare, è stata tutta una vita di sacrifici e di gelo, così si fa il teatro». Eduardo mantiene l'asta del microfono con una mano, la voce in apparenza flebile ma sicura, l'affanno, il discorso sul figlio Luca, la riflessione su un'esistenza dedicata al palco, la parola gelo pronunciata ad alta voce, a sovrastare tutto il resto, anche il pubblico, compresa Taormina. Era l'ultima apparizione del gigante De Filippo, nel 1984. E non può essere un caso il titolo scelto per lo spettacolo di Mimmo Borrelli (in scena stasera alle 20.45 al Teatro Sant'Alfonso di Pagani per la rassegna «Scenari pagani» di Nicolantonio Napoli). E se anche lo fosse, andrebbe a indicare un legame sottile ma pratico e corposo tra la nuova drammaturgia parola-corpo di Borrelli e il corpo scenico-testuale di Eduardo: in particolare su quest'ultimo Carmelo Bene nel cult «Un dialogo fra sordi» annotava come «il grande segreto di Eduardo è questo complicarsi la vita continuamente, in palcoscenico, dove è grande artista, dove non si può più definire attore... complicarsi la vita in palcoscenico vuol dire crearsi trappole continue, trabocchetti».
È così il teatro di Borrelli - artista vulcanico e ribollente - un teatro che imprime ne «Il Gelo» un lavoro intimo con un impianto scenico dato da pochi elementi per accogliere la voce di Eduardo De Filippo, a conclusione.