Pastore ucciso a fucilate a Giffoni Valle Piana, ​il pg: «Nessuno sconto ai killer»

Domenico Pennasilico vittima di un agguato: chiesta la conferma della condanna per i fratelli Di Meo

Domenico Pennasilico
Domenico Pennasilico
di Viviana De Vita
Martedì 14 Febbraio 2023, 07:50
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Nessuno sconto ai killer del pastore Domenico Pennasilico, vittima di un agguato messo a segno il 23 aprile 2019. Questa, almeno, la richiesta del Procuratore generale Leonida Primicerio che, ieri, davanti ai giudici della Corte d'Assise d'Appello del tribunale di Salerno ha pronunciato la sua requisitoria chiedendo la conferma della sentenza di primo grado a carico dei fratelli Franco e Nicola Di Meo, i due pastori di Curti, frazione di Giffoni Valle Piana, assistiti dall'avvocato Maurizio De Feo e condannati in primo grado a 18 anni di reclusione per omicidio volontario. Dopo le conclusioni del Procuratore generale, ci sono state le arringhe del legale degli imputati, l'avvocato Maurizio De Feo, e dei legali di parte civile, gli avvocati Francesco Guerritore ed Enrico Giovine, che hanno posto l'accento sulle statuizioni civili rimarcando l'elemento della premeditazione caduto, invece, in primo grado.

«I miei clienti - hanno argomentato i legali - non hanno chiesto vendetta: volevano solo ottenere giustizia e, per loro, giustizia non è stata fatta. Volevano che i giudici del primo grado avessero confermato l'oggettiva premeditazione dei fatti e dell'agguato ma hanno dovuto prendere atto che secondo i giudici della Corte di Assise di Salerno non solo non vi era premeditazione nell'ideazione dell'agguato, ma addirittura che colui che sparò per colpire Generoso Pennasilico avesse solamente commesso una minaccia a mano armata, senza alcuna intenzione omicida». In primo grado, a processo, oltre ai due fratelli, c'era infatti anche il figlio di Franco, il 25enne Bruno Di Meo, assistito dagli avvocati Paolo Carbone e Genserico Miniaci. L'uomo è stato condannato in primo grado a un anno e otto mesi di reclusione dopo la derubricazione in minacce dell'accusa di tentato omicidio in danno di Generoso Pennasilico, figlio di Domenico. Per lui la Procura non ha fatto appello.

Diversa invece la prospettazione del pm Katia Cardillo che riteneva tutti partecipi dell'omicidio, chi organizzatore e chi esecutore. Secondo la sentenza pronunciata dai giudici di primo grado Bruno Di Meo usò l'arma solo per minacciare il figlio della vittima con il quale era entrato in conflitto per i confini delle aree di pascolo. I carabinieri lo incastrarono grazie all'esame stub eseguito poco tempo dopo il ritrovamento del cadavere del pastore. L'udienza è stata infine aggiornata alla prossima settimana quando dopo le ultime discussioni i giudici si ritireranno in camera di consiglio. L'agguato andò a segno nella primavera di quattro anni fa. Domenico Pennasilico morì sotto i colpi delle fucilate mentre Generoso, il figlio, riuscì a mettersi in salvo e a chiamare i soccorsi. Le indagini furono affidate ai carabinieri della sezione operativa della Compagnia di Battipaglia, che partirono proprio dalla telefonata di aiuto del ragazzo scampato all'agguato. I militari ricostruirono l'intera scena del delitto e identificarono i presenti sul luogo dell'omicidio.
 

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