Patto tra clan e politica a Scafati,
il pentito fu «testimone diretto»

Patto tra clan e politica a Scafati, il pentito fu «testimone diretto»
di Nicola Sorrentino
Mercoledì 10 Aprile 2019, 19:22
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«Informazioni altamente qualificate, provenienti da una persona che ha vissuto in prima persona i fatti di cui racconta». Così la Corte d'Appello giudica la collaborazione di Alfonso Loreto, pentito del clan Loreto-Ridosso, teste chiave nel processo sui presunti rapporti tra la camorra e la classe politica a Scafati, nel 2013 e nel 2015. Sono ora pubbliche le motivazioni delle condanne, seppur rideterminate, nei confronti di Loreto, ma anche di Luigi e Gennaro Ridosso.

Il primo, Loreto, ha visto rideterminarsi la pena in sette anni di reclusione, mentre Luigi Ridosso in anni quattro e undici mesi e dieci giorni di reclusione. Infine Gennaro Ridosso, assolto dal reato di minacce verso la giornalista Valeria Cozzolino, per non aver commesso il fatto, con pena rideterminata anche per lui in 5 anni e 6 mesi di reclusione. Nel caso specifico, il collegio ha valutato la testimonianza della giornalista, spiegando che «pur riferendo nello specifico l'episodio delle locandine e pur riferendo del comportamento minaccioso del fratello del sindaco, non abbia invece con altrettanta chiarezza e prontezza riferito alla Federico (capo redattore del giornale Metropolis) dell'episodio - molto più inquietante - relativo alle minacce di morte proferite da Gennaro Ridosso». L'episodio in se riferiva di uno strappo di locandine da parte di Aniello Aliberti, fratello dell'ex sindaco di Scafati, Pasquale. Carmela Federico e Valeria Cozzolino hanno testimoniato in prima persona sui quei fatti, di recente, anche nel processo "Sarastra", dove ci sono gli imputati che hanno scelto il rito ordinario. E proprio la testimonianza di Federico, secondo i giudici, avrebbe minato quella di Cozzolino. Con la conferma del fatto in se, ma che non avrebbe chiarito su chi vi fosse in compagnia del fratello del sindaco. 

Sull'assoluzione, tuttavia, la procura Dda potrebbe presentare ricorso in Cassazione. I giudici di secondo grado erano stati chiamati a valutare l'impianto accusatorio che aveva già generato delle condanne in primo grado, in sede di abbreviato, dinanzi al gup. Così come allora, la collaborazione di Loreto è risultata preziosa, perchè «le informazioni facenti parte del suo patrimonio, confermano la innovativa strategia del clan, suggellando il patto con i Ridosso per dare nuova linfa all'organizzazione, programmandone lo stabile inserimento nel mondo politico e dell'economia, attraverso il metodo dell'accordo». Tra le accuse c'era anche quella di estorsione nei riguardi di due imprenditori conservieri. Sull'esistenza di un "patto" tra il clan e la classe politica, invece, i giudici hanno così spiegato: «Appare poco credibile - richiamando i motivi della difesa - che il clan Ridosso-Loreto si attivasse ed esponesse i suoi uomini in prima persona, procacciando voti alla lista civica facente capo all'Aliberti e sostenendone la candidatura, senza che la controparte avesse assunto nero su bianco un preciso impegno di facere e/o di dare, quale contropartita di tanto disturbo». A Nocera Inferiore, intanto, prosegue il processo che vede imputati l'ex sindaco di Scafati, la moglie e consigliere regionale Monica Paolino, insieme ad altri imputati, con l'accusa di scambio elettorale politico mafioso.
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