Ricoveri inappropriati, effetto Covid: 3 pazienti su 10 in corsia senza motivo

Nel 2020, la percentuale di dimissioni inappropriate da reparti chirurgici si attesta a 27,04%

L'osservazione del pronto soccorso
L'osservazione del pronto soccorso
di Sabino Russo
Domenica 4 Dicembre 2022, 09:42 - Ultimo agg. 15:06
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Un ricovero su tre è inappropriato. Il 30% dei malati, dunque, è ricoverato senza ragione. Ecco perché gli ospedali sono inefficienti e i pronto soccorso sono ingolfati, per l'impossibilità di trasferire in reparto i pazienti, costretti ad attese anche di 72 ore in barella. A rivelare il lato inefficiente dei nostri ospedali già in affanno per penuria di personale è il rapporto del Ministero della Salute sulle dimissioni ospedaliere.

Nel 2020, la percentuale di dimissioni inappropriate da reparti chirurgici si attesta a 27,04% (era 26,65 nel 2019), la percentuale di ricoveri diurni di tipo diagnostico è pari a 35,52% (35,25 nel 2019), la percentuale di ricoveri brevi si attesta a 8,71% per i ricoveri 0-1 giorno (9,06 nel 2019) e 23,57% per i ricoveri 2-3 giorni (23,98 nel 2019), mentre la percentuale di ricoveri con degenza oltre soglia in pazienti con età di 65 anni e oltre si attesta a 4,97% (4,59 nel 2019). Nel 2020, in tutte le categorie analizzate, si nota un forte calo del tasso di ospedalizzazione (dimissioni per 100mila abitanti) rispetto all'anno precedente: diabete non controllato 7,33 (10,22 nel 2019); insufficienza cardiaca nella fascia di età uguale o superiore ai 18 anni 227,33 (301,12 nel 2019); insufficienza cardiaca nella fascia di età uguale o superiore a 65 anni 733,38 (994,67 nel 2019); influenza nell'anziano 6,72 (12,40 nel 2019); malattie polmonari croniche ostruttive 27,35 (48,74 nel 2019); diabete con complicanze: 20,07 (27,45 nel 2019). Infine, nel 2020 la percentuale di riammissioni non programmate (entro 30 giorni dal precedente ricovero) per schizofrenia e disturbo bipolare è pari, rispettivamente, a 12,90% e a 7,71% (14,55 e 8,79 nel 2019). Nel 2020, nel salernitano, il tasso di ospedalizzazione si riduce da 139 per 1000 abitanti nel 2019 a circa 104 nel 2020. In particolare, il tasso di ospedalizzazione per acuti in regime ordinario passa da 96 per 1000 abitanti nel 2019 a 75 nel 2020, mentre il tasso di ospedalizzazione per acuti in regime diurno passa da 42 a 28. Basterebbero queste poche percentuali a dare il senso, se mai ce ne fosse ancora bisogno, dell'impatto della pandemia sui ricoveri ospedalieri. Numeri, questi, che attribuiscono alla pandemia l'anomalia di un anno quasi viziato dal virus, ma che se non altro per continuità è stato doveroso fotografare.

In particolare, nel 2020 - sono evidenti gli effetti sulla produzione ospedaliera provocati dalla pandemia sia in termini di volumi erogati (riduzione di circa il 20% dei ricoveri rispetto al 2019), sia in termini di variazioni del case-mix prodotto rispetto alle tendenze consolidatesi negli anni precedenti.

Questi, però, non sono gli unici dati che certificano la drammaticità del ricorso all'ospedale. La degenza media per acuti in regime ordinario nel 2020 è pari a 7,5 giorni (in aumento rispetto al 2019, quando il valore si attestava a 7,0); la degenza media per riabilitazione in regime ordinario aumenta, passando da 26,2 giorni nel 2019 a 27,5 giorni nel 2020, mentre la degenza media per lungodegenza passa da 24,5 a 24,6 giorni. Con riferimento ai ricoveri per acuti in regime ordinario, l'aumento della durata della degenza media è correlato all'incremento della complessità dei ricoveri: nel 2020 il peso medio, infatti, aumenta da 1,24 a 1,31, mentre il numero medio di diagnosi e il numero medio di procedure compilate per scheda passano, rispettivamente, da 2,5 a 2,6 e da 3,1 a 3,2. È possibile collegare questo fenomeno a un effetto indiretto della pandemia, considerato che nel corso del 2020 per effetto delle misure di contenimento e della riorganizzazione delle aree di trattamento dedicate al Covid, soprattutto in corrispondenza delle maggiori ondate epidemiche, il ricorso all'ospedale è stato riservato alla casistica di emergenza-urgenza, tipicamente più complessa, con rimodulazione dell'attività programmata considerata clinicamente differibile.

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