Dj Cancro: «Discoteche chiuse
e i lidi diventano sale da ballo»

Dj Cancro: «Discoteche chiuse e i lidi diventano sale da ballo»
di Barbara Cangiano
Giovedì 12 Agosto 2021, 06:05 - Ultimo agg. 08:47
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Discoteche chiuse - o quasi - lidi e bar trasformati in sale da ballo. Questa volta a lanciare il j’accuse è Peppe Cancro, storico dee jay e volto notissimo della movida salernitana. In un post su Facebook, indirizzato al presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, punta il dito contro «i furbetti che organizzano serate senza avere permessi, licenze e autorizzazione», mentre i locali titolati, «sono chiusi in tutta Italia ormai da diciotto mesi». A conferma di ciò, che è poi sotto gli occhi di tutti, Cancro allega un video relativo a una serata che si è tenuta la notte di San Lorenzo in uno stabilimento balneare della costa sud di Salerno. Di fatto, una discoteca a cielo aperto. «Non mi va di prendermela con i colleghi, il mio intento non è quello di scatenare guerre intestine, ma che sia chiaro che i provvedimenti assunti dal Governo, dalle Regioni e dal Comitato tecnico scientifico sono una farsa che ha del grottesco – denuncia – A Salerno sono pochissime le attività che hanno una licenza C1, quella per l’intrattenimento danzante. E sono quelle che, con tutti i loro dipendenti, hanno dovuto reinventarsi buttandosi nella ristorazione. Mentre altri si dilettano a organizzare feste, svolgendo cioè le funzioni di una discoteca».

Video

Nel video si vedono centinaia di giovani senza mascherina e decisamente assembrati, «ma è così in tutta Italia, perché di video ne ho dal nord al sud del Paese», incalza il dee jay, che ha successivamente pubblicato analoghe feste svolte a Scalea e Riccione. Il filmato non è diventato virale come quello postato qualche settimana fa da Selvaggia Lucarelli, in cui si accusava il Dolcevita di non rispettare le norme di sicurezza e di promuovere il contagio, costato poi al patròn Armando Mirra multe salate e la chiusura dell’attività. «Ma ormai, al di là dei clamori, sono più le attività che hanno ricevuto sanzioni o denunce di quelle che si sono salvate – continua Cancro –È paradossale decidere di tenere aperte le discoteche, imponendo però ai clienti l’obbligo di non ballare. Come si fa? Chi deve controllare? Venerdì farò un dee jay set alla Sala Varese e già so che dovrò trascorrere la maggior parte del mio tempo a far comprendere agli avventori cosa si può fare e cosa no. Non è possibile continuare a lavorare in queste condizioni. Ormai siamo tutti sfiduciati. C’è anche chi pensa di cambiare completamente attività, perché non si vede la luce ed i ristori non sono quelli erogati dalla Germania. Con i quattro spiccioli che si incassano a stento si riesce a pagare la tassa sull’immondizia». 
LA PROPOSTA
Una soluzione all’orizzonte potrebbe esserci e si chiama green pass: «Non volevo vaccinarmi, ero tra le persone contrarie.

Poi ci ho riflettuto: non posso non lavorare e per farlo era necessario che fossi immunizzato. A questo punto credo che l’unica possibilità per riprendere le nostre attività sia questa: instaurare un sistema premiante per i vaccinati e consentire loro, così come si può cenare al ristorante o si può frequentare un cinema, di ballare in una discoteca anche al chiuso. Questo mi sembra l’unico escamotage per consentirci di riprendere le nostre attività e di non dover chiudere i battenti per sempre, visto che i sacrifici finora fatti sono stati vani». Il dee jay lancia la proposta e contestualmente critica aspramente le scelte finora adottate a livello nazionale: «Sembra un paradosso, ma l’anno scorso, senza vaccini, riuscivo a fare tre o quattro serate a settimana. Quest’anno, con i vaccini, non si batte chiodo. Il motivo è presto spiegato: dodici mesi fa al sud avevamo praticamente zero contagi, i focolai erano concentrati principalmente nelle regioni del nord. Bisognava vietare gli spostamenti e invitare i campani a fare le vacanze nella propria regione. Non avremmo avuto un’impennata di casi, così come è accaduto tra settembre e ottobre, non saremmo probabilmente stati costretti a richiudere e forse oggi le cose sarebbero andate diversamente. Purtroppo si guarda esclusivamente a determinati interessi economici e a farne le spese sono sempre le stesse categorie professionali. Per una volta proviamo a essere concreti e a imparare dagli errori fatti».

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