Seid Visin, la madre del calciatore suicida:
«Incubi del passato, mai dimenticata l’Etiopia»

Seid Visin, la madre del calciatore suicida: «Incubi del passato, mai dimenticata l’Etiopia»
di Nello Ferrigno
Lunedì 7 Giugno 2021, 23:38 - Ultimo agg. 8 Giugno, 19:46
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Seid Visin era rientrato dalla Finlandia poco più di un mese fa. Era dalla fidanzata. Doveva essere un periodo di svago dopo un lunghissimo isolamento vissuto a Milano a causa del lockdown. All’Università Statale di Milano era iscritto a giurisprudenza. Viveva in uno studentato, una casa che divideva con altri due ragazzi. Non è tornato a casa nemmeno a Natale. A febbraio, però, scatta un campanello di allarme. La madre del giovane, Maddalena Imperato, decide che il figlio deve rientrare. «Mi ero accorta – ha raccontato la donna – che qualcosa non andava, era instabile, appariva depresso. Rientrato a casa si è ripreso, ha ritrovato il suo equilibrio. Succedeva sempre così». 

Stavolta cosa è successo?
«Mi ha chiesto di trascorrere del tempo dalla ragazza, in Finlandia.

Perché no, ci siamo detti io e mio marito, magari si distrae dopo tanto isolamento. È partito. La mattina, al telefono, mi diceva che stava bene anche se comunque era chiuso in casa perché a -30 gradi non certo si può andare in giro. Poi la ragazza lavorava, quindi trascorreva molte ore in solitudine. E, probabilmente, si è ritrovato solo con i suoi pensieri. Una mattina mi ha telefonato, piangeva. L’ho fatto subito rientrare. Abbiamo iniziato un percorso, è stato seguito da un terapeuta. Ma questa volta non ce l’ha fatta».

Secondo lei c’è stato un motivo scatenante dietro il suo gesto? 
«Certamente la solitudine di questo periodo ha pesato moltissimo. Sono riaffiorati i suoi vecchi incubi, il suo passato è diventata un’ossessione, si è ingigantito nella sua mente ogni giorno di più. Ed è arrivato a un punto di non ritorno, non è riuscito più a gestire il suo equilibrio, è precipitato velocemente nell’abisso».

Quali erano i suoi incubi? 
«L’Africa, l’Etiopia, che cos’è la vita in quelle terre, come vivono. Da cosa si scappa».

Quando ha iniziato a manifestare questo disagio? 
«Quando ha cominciato ad essere più riflessivo. Ricordo quando siamo rientrati in Italia dall’Etiopia, sull’aereo ha dato uno sguardo alla sua terra dall’alto, ha chiuso il finestrino e non ne ha voluto più parlare. Per mesi ha comunicato con una voce da adulto, sembrava volersi difendere. Era ferito, sembrava un uomo, non un bambino. Poi, all’improvviso, ha iniziato a cinguettare, ha cambiato voce. È tornato ad essere il piccolo che avevamo incontrato in Africa. Mi diceva che non voleva più sentire parlare dell’Etiopia. Non ha mai voluto incontrare bambini africani. È stato un bambino gioioso quando ha dimenticato la sua Africa».

Poi cosa è successo? 
«Seid è diventato il paladino della giustizia. Lo faceva già alla scuola media, voleva difendere i più deboli. Un giorno in aula la professoressa, in occasione di un barcone affondato nel Mediterraneo, avviò una discussione con i ragazzi, si parlava anche delle adozioni per le coppie gay. Tutti i suoi amici erano contro, lui si alzò e disse, cosa ne sapete voi di vivere in strada come un cane randagio. Pur di lasciare la miseria e avere un punto di riferimento un bambino africano si legherebbe anche ad un orco. Diventato grande iniziò ad interessarsi di tutte le forme di discriminazione, voleva fare qualcosa di concreto».

Negli ultimi giorni Seid non aveva fatto trapelare nulla delle sue intenzioni?
«Era triste, mai immaginare la sua decisione. Tutti ci chiedono perché lo ha fatto? Lo volete sapere? Andate in Africa, andate a vedere come vivono i bambini soli».

Perché scrisse la lettera fatta circolare in questi giorni? 
«Era il 2018, era molto entusiasta di averla scritta, me la fece leggere. Ero un po’ titubante ma non volevo frenarlo. In quel momento Seid forse voleva far venire fuori il suo disagio. A quell’epoca in Italia c’era un’aria tesa e lui lo percepì». 

Walter Visin, il padre adottivo, non vuole far cadere nel nulla le idee di Seid.
«Vorrei creare un movimento – ha spiegato – per far conoscere i pensieri che mio figlio ha scritto in quella lettera, di sollecitare i giovani ad essere forti. Noi adulti siamo egoisti, invece dobbiamo aiutare i giovani, anche la politica deve fare molto di più. I giovani devono lottare come ha fatto Seid. Lui, così mi raccontano i suoi amici, non faceva nulla per sé stesso, ed è importante che lo facciano tutti i giovani». 

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