Seid Visin suicida a Nocera Inferiore:
«Sento il peso degli sguardi schifati»

Seid Visin suicida a Nocera Inferiore: «Sento il peso degli sguardi schifati»
di Nicola Sorrentino
Sabato 5 Giugno 2021, 12:26 - Ultimo agg. 6 Giugno, 09:19
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«Sono stato adottato quando ero piccolo. Prima di questo grande flusso migratorio ricordo con un po' di arroganza che tutti mi amavano. Ovunque fossi, andassi e mi trovassi, tutti si rivolgevano a me con grande gioia, rispetto e curiosità. Adesso, invece, questa atmosfera di pace idilliaca sembra così lontana». È stato letto questa mattina, presso la chiesa di San Giovanni Battista a Cicalesi, durante i funerali, uno scritto che il giovane Visin Seid, ragazzo di 21 anni che si è tolto la vita giovedì sera, in casa, a Nocera Inferiore, aveva condiviso con alcuni amici un paio d'anni fa. Uno scritto sentito, che riprendeva le sofferenze e i disagi dei migranti che sbarcavano in Italia, confrontato poi con le difficoltà che anche il giovane, per il colore della sua pelle, aveva affrontato durante alcuni momenti della sua vita. Lo scritto è stato letto dalla madre di una delle sue amiche, «affinché certe cose non si dimentichino». 

«Dinanzi a questo scenario socio-politico particolare che aleggia in Italia, io, in quanto persona nera, inevitabilmente mi sento chiamato in questione. Io non sono un immigrato. Sembra che misticamente si sia capovolto tutto, sembra ai miei occhi piombato l'inverno con estrema irruenza e veemenza, senza preavviso, durante una giornata di primavera. Ovunque io vada, ovunque io sia e mi trovi sento sulle mie spalle, come un macigno, il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone.

Qualche mese fa ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perché troppe persone, prevalentemente anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non bastasse, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche la responsabilità del fatto che molti giovani italiani (bianchi) non trovassero lavoro. Dopo questa esperienza dentro di me è cambiato qualcosa: come se nella mia testa si fossero creati degli automatismi inconsci e per mezzo dei quali apparivo in pubblico, nella società, diverso da quel che sono realmente; come se mi vergognassi di essere nero, come se avessi paura di essere scambiato per un immigrato». 

E ancora: «Con queste mie parole crude, amare, tristi, non voglio elemosinare commiserazione o pena, ma solo ricordare a me stesso che il disagio e la sofferenza che sto vivendo io sono una goccia d'acqua in confronto all'oceano di sofferenza che stanno vivendo quelle persone dalla spiccata e dalla vigorosa dignità, che preferiscono morire anzichè condurre un'esistenza nella miseria e nell'inferno. Quelle persone che rischiano la vita, e tanti l'hanno già persa, solo per annusare, per assaporare, per assaggiare il sapore di quella che noi chiamiamo semplicemente vita».

Tanti gli amici e i conoscenti che questa mattina, invece, hanno voluto dare un ultimo saluto al ragazzo, durante la cerimonia funebre. Ma le parole del 21enne etiope - secondo chi lo conosceva - non proverebbero nulla, se non le riflessioni giuste e condivisibili di una persona sensibile. Rifiutano, insomma, che dietro il suicidio del loro “fratello” vi fossero ragioni di quel genere, di natura razziale. «Era amato da chiunque, non ci credo ad una cosa così» si ripete più di qualche ragazzo, all'esterno della chiesa. L'ex promessa del calcio, che aveva militato anche nelle giovanili di Inter e Milan, era stato adottato all'età di sette anni. Di recente era stato in Finlandia, con la fidanzata. Si era diplomato a Nocera Inferiore, dopo aver lasciato nel 2017 il mondo del pallone. «Grazie per quello che ci hai dato - dice un amico dal pulpito della chiesa - non sei stato una meteora, ma una cometa. Hai illuminato le nostre vite, ci hai fatto sentire uniti, senza chiedere nulla in cambio». 

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