Nel Comune simbolo del cratere salernitano, Laviano, c'è un sindaco anch'egli simbolo degli accadimenti di questi quarant'anni. È Salvatore Torsiello. Carattere spigoloso, un decisionista, fu definito sceriffo per alcune sue connotazioni. La Commissione d'inchiesta dedicò a Laviano cento pagine, spulciò opere, interventi, appalti. Ed il Comune divenne il simbolo del malaffare. Torsiello ricostruì un paese che non esisteva più, ma le sue scelte gli sono costate 106 procedimenti giudiziari, persino l'arresto, il 19 luglio 1993, 152 giorni di carcere. Ma era così certo della sua innocenza che durante la detenzione, che pure lo provò, prendeva il sole durante l'ora d'aria. La giustizia ha decretato che nessuno di quei procedimenti si è concluso con la condanna del sindaco, chiamato per questo mister assoluzione, compreso quello che lo condusse all'arresto per presunte illegittimità nella gestione degli appalti. Anche oggi, a quarant'anni di distanza, Torsiello non arretra su quelle scelte, le confermerebbe tutte. «Ho ricostruito un paese raso al suolo, dovevo dare non solo una casa, ma anche una identità dice Ho dedicato la mia vita, il mio impegno, il mio sacrificio a questo, a realizzare un paese moderno. Era il nulla, l'ho rimesso sulla strada pur pagando molto le mie scelte. Sono stato denunciato per tantissime cose, la prima fu per aver portato 30 litri di latte della Parmalat ad un asilo di Salerno, latte che giunse in autotreno a Laviano nei giorni successivi al sisma».
Torsiello, quel 23 novembre 1980, aveva 30 anni, era già un ingegnere affermato ed era sindaco da soli quattro mesi.
Coi primi soccorsi arrivarono due roulotte. «La prima la destinai agli 8 bambini piccoli che c'erano. Una mamma a turno stava nella roulotte racconta La seconda divenne il municipio». Si contarono 304 morti e il sindaco organizzò due squadre con quattro persone per il riconoscimento e le sepolture. «Capii subito che quel terremoto avrebbe portato altro quando arrivò un primo camion con le bare dice L'autista mi disse che ce n'erano 14, e dovevo firmare la ricevuta. Ma ne contai 11, pensai che dopo tre giorni c'era già chi lucrava sui morti». Inizia così la fase della sistemazione delle persone, la tendopoli, le roulotte, i prefabbricati, che collocò più a valle, a 2 km, altrimenti sarebbe stato difficile ricostruire il paese nello stesso punto come tutti volevano. «Andammo in Friuli tutti i sindaci a sceglierli. Presi i Ruben, i migliori. Me lo spiegò un falegname che incontrai lì. Progettai io stesso la loro collocazione, con l'area artigianale, la chiesa, il municipio, la distanza tra le casette. Era ed è anche oggi un insediamento modello. Guardavo a vista persino le imprese perché non tagliassero gli alberi per velocizzare i lavori. Lo feci quando un giorno ne tagliarono due e dissi loro che non dovevano togliere nulla. Quello era per noi e lo sarebbe stato a lungo, il nostro paese». E poi le case. «Le prime arrivarono nel 1982 spiega - Le donarono i canadesi, 36 alloggi in cemento. Arrivarono aerei, esercito, di tutto. Noi predisponemmo l'area, sbancammo una montagna e la urbanizzammo; la Regione, che allora era presieduta da De Feo, approvò con grande lena il Piano di recupero di S. Agata. Solo tre anni dopo iniziò il resto». Un resto consegnato alla storia che verrà.