Terremoto 1980: Sasà, il sindaco «sceriffo»
di Laviano che superò 106 inchieste

Terremoto 1980: Sasà, il sindaco «sceriffo» di Laviano che superò 106 inchieste
di Margherita Siani
Lunedì 23 Novembre 2020, 07:30
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Nel Comune simbolo del cratere salernitano, Laviano, c'è un sindaco anch'egli simbolo degli accadimenti di questi quarant'anni. È Salvatore Torsiello. Carattere spigoloso, un decisionista, fu definito sceriffo per alcune sue connotazioni. La Commissione d'inchiesta dedicò a Laviano cento pagine, spulciò opere, interventi, appalti. Ed il Comune divenne il simbolo del malaffare. Torsiello ricostruì un paese che non esisteva più, ma le sue scelte gli sono costate 106 procedimenti giudiziari, persino l'arresto, il 19 luglio 1993, 152 giorni di carcere. Ma era così certo della sua innocenza che durante la detenzione, che pure lo provò, prendeva il sole durante l'ora d'aria. La giustizia ha decretato che nessuno di quei procedimenti si è concluso con la condanna del sindaco, chiamato per questo mister assoluzione, compreso quello che lo condusse all'arresto per presunte illegittimità nella gestione degli appalti. Anche oggi, a quarant'anni di distanza, Torsiello non arretra su quelle scelte, le confermerebbe tutte. «Ho ricostruito un paese raso al suolo, dovevo dare non solo una casa, ma anche una identità dice Ho dedicato la mia vita, il mio impegno, il mio sacrificio a questo, a realizzare un paese moderno. Era il nulla, l'ho rimesso sulla strada pur pagando molto le mie scelte. Sono stato denunciato per tantissime cose, la prima fu per aver portato 30 litri di latte della Parmalat ad un asilo di Salerno, latte che giunse in autotreno a Laviano nei giorni successivi al sisma».

 

Torsiello, quel 23 novembre 1980, aveva 30 anni, era già un ingegnere affermato ed era sindaco da soli quattro mesi.

Lo sarà fino al giorno dell'arresto. La drammaticità del sisma iniziò la sera del terremoto, quando di rientro da Salerno incontrò per strada il comandante della Forestale di Calabritto con quindici persone. Gli disse che tutto era crollato, che erano gli unici sopravvissuti, che oltre non c'era più nulla, tutti morti nei Comuni più avanti. La corsa verso Laviano lo condusse all'inferno raccontatogli poco prima. «Trovai un muro di 150 metri che sembrava scoppiato, poi vidi una signora con i piedi girati, spezzati», racconta. Il tempo di capire e Torsiello corse a Salerno, in Prefettura, per avvertire cosa fosse accaduto perché non c'era altro modo per comunicarlo. «Mi dissero che stavano arrivando i soccorsi racconta l'ex sindaco Tornai a Laviano, mio fratello medico con me, e facemmo un carico di medicine. Era domenica notte ma i primi vigili del fuoco, con una piccola pala meccanica, arrivarono solo lunedì sera. Il nulla. Eravamo soli. Il mio primo atto fu vietare a tutti di andare nel centro storico; caduto tutto, non servivano eroi. Un ragazzo non mi ascoltò e andò a cercare i suoi familiari, morì per un crollo». Il racconto del sindaco è pieno di particolari nitidi, come se tutto fosse ancora dinanzi ai suoi occhi. Lui, insieme ai cittadini rimasti, accolsero smarriti il Presidente Pertini che arrivò il martedì. «Gli feci vedere il paese crollato, mi stringeva il braccio, si aggrappava a me racconta così l'incontro - Chiesi al Presidente cosa dovessi fare, gli dissi che non sapevo neppure se si poteva bere l'acqua». E poi stigmatizza: «Se avessimo avuto i soccorsi subito, avremmo salvato almeno cento persone». Torsiello ebbe anche la tentazione di dimettersi, lo disse al Prefetto. La risposta, quasi fredda, fu che se non fosse stato lui ad occuparsi di Laviano, sarebbe stato un altro. «Non me la sentii di lasciare».

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Coi primi soccorsi arrivarono due roulotte. «La prima la destinai agli 8 bambini piccoli che c'erano. Una mamma a turno stava nella roulotte racconta La seconda divenne il municipio». Si contarono 304 morti e il sindaco organizzò due squadre con quattro persone per il riconoscimento e le sepolture. «Capii subito che quel terremoto avrebbe portato altro quando arrivò un primo camion con le bare dice L'autista mi disse che ce n'erano 14, e dovevo firmare la ricevuta. Ma ne contai 11, pensai che dopo tre giorni c'era già chi lucrava sui morti». Inizia così la fase della sistemazione delle persone, la tendopoli, le roulotte, i prefabbricati, che collocò più a valle, a 2 km, altrimenti sarebbe stato difficile ricostruire il paese nello stesso punto come tutti volevano. «Andammo in Friuli tutti i sindaci a sceglierli. Presi i Ruben, i migliori. Me lo spiegò un falegname che incontrai lì. Progettai io stesso la loro collocazione, con l'area artigianale, la chiesa, il municipio, la distanza tra le casette. Era ed è anche oggi un insediamento modello. Guardavo a vista persino le imprese perché non tagliassero gli alberi per velocizzare i lavori. Lo feci quando un giorno ne tagliarono due e dissi loro che non dovevano togliere nulla. Quello era per noi e lo sarebbe stato a lungo, il nostro paese». E poi le case. «Le prime arrivarono nel 1982 spiega - Le donarono i canadesi, 36 alloggi in cemento. Arrivarono aerei, esercito, di tutto. Noi predisponemmo l'area, sbancammo una montagna e la urbanizzammo; la Regione, che allora era presieduta da De Feo, approvò con grande lena il Piano di recupero di S. Agata. Solo tre anni dopo iniziò il resto». Un resto consegnato alla storia che verrà. 

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