Condannato a 4 anni, torna in carcere:
Johnny il rapper si uccide in cella

Condannato a 4 anni, torna in carcere: Johnny il rapper si uccide in cella
di Viviana De Vita
Lunedì 27 Luglio 2020, 09:09
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Sono stati i compagni di cella a lanciare l’allarme. Quando ieri mattina lo hanno visto immobile con gli occhi vitrei, Giovanni Cirillo, in arte Johnny, il rapper di origini somale appena 23enne, era ancora vivo. E respirava ancora quando gli agenti della polizia penitenziaria, diretti dal dirigente aggiunto Gianluigi Lancellotta, lo hanno trasportato in infermeria. Il suo cuore, però, ha cessato di battere poco dopo e a nulla è valso l’intervento dei rianimatori del 118 allertati subito dalla direzione del carcere. Il suicidio si è consumato intorno alle 11 in una cella della prima sezione del penitenziario cittadino, quella che ospita i detenuti per reati comuni. Giovanni Cirillo era tornato a Fuorni un paio di settimane fa dopo la revoca del regime dei domiciliari che aveva violato quattro volte tanto da spingere la Procura a chiedere e a ottenere un aggravamento della misura cautelare. 

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Il regime detentivo, però, non lo reggeva più. Lo aveva ripetuto più volte dopo la condanna inflittagli lo scorso 20 luglio a quattro anni di reclusione per una rapina messa a segno nel gennaio scorso a pochi passi di distanza da casa sua, a Scafati, con una pistola che poi si scoprì essere un giocattolo. Aveva chiesto di essere trasferito a Villa Chiarugi e voleva parlare con il magistrato. Il suo stato d’animo non era sfuggito al direttore del carcere di Fuorni Rita Romano che per questo motivo aveva autorizzato il 23enne a dei colloqui con lo psicologo. Giovanni Cirillo era crollato dopo l’incontro avuto con il suo legale il giorno dopo la sentenza di condanna infertagli dal gup. L’idea di trascorrere quattro anni dietro le sbarre, lo terrorizzava. Forse quando ieri ha messo in atto il folle proposito, voleva compiere solo un gesto dimostrativo. Forse non credeva di morire. La dinamica dell’episodio dovrà essere ricostruita dagli agenti della squadra Mobile di Salerno che, insieme alla scientifica, stanno indagando sul fatto. Afflitto dal dramma della tossicodipendenza e con un passato difficile alle spalle, il giovane sembra avesse anche qualche tensione con la famiglia adottiva che comunque ha tentato di stargli vicino anche durante il periodo della detenzione. 

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