Webcam hard, professionista
finisce sotto ricatto

Webcam hard, professionista finisce sotto ricatto
di ​Nico Casale
Martedì 15 Novembre 2016, 07:20 - Ultimo agg. 08:37
3 Minuti di Lettura
Si spogliano nudi in webcam sul popolare social network Facebook certi che dall’altra parte dello schermo vi sia realmente un’avvenente donna intenta a fare altrettanto. E invece, le vittime di turno, nella quasi totalità dei casi uomini, vengono filmate e poi minacciate di divulgare i filmini, se non sono disposte a pagare.
Qualcuno l’ha definita la nuova moda degli uomini soli ma non è altro che un ricatto bello e buono, se vogliamo l’estorsione 2.0. E sono tanti i salernitani che ci sono già cascati e ci hanno rimesso soldi e reputazione.
La tecnica di approccio è sempre la stessa: donne avvenenti con nomi esotici inviano la richiesta di amicizia su Facebook all’uomo, potenziale bersaglio, e dopo una conoscenza, più o meno approfondita in chat, fanno sì, grazie a paroline ammalianti e discorsi piccanti in un italiano stentato, che l’ignaro signore si convinca a spogliarsi nudo e a masturbarsi in webcam, con la certezza che anche la bella colombiana, brasiliana o peruviana, stia facendo lo stesso. Insomma, l’uomo è convinto di star praticando il websex, ossia il sesso virtuale, ormai diffusissimo anche in Italia, quando invece, dall’altra parte, vi sono, non di rado, organizzazioni criminali dedite proprio a queste pratiche. Chiusa la bollente video-chat, nascono i problemi. Passano pochi minuti e la vittima riceve un messaggio di posta: «Dammi diecimila euro altrimenti invio il video mentre ti masturbi ai tuoi amici di Facebook». Dalle parole si passa ben presto ai fatti: il video è realmente immesso in rete, diventando accessibile e perciò visionabile solo a chi è in possesso dell’indirizzo del collegamento. Basterà ricevere il link e il gioco è fatto. 
Una disavventura simile è capitata ad un professionista salernitano, il quale, però, ha rifiutato di versare soldi attraverso piattaforme di trasferimento di denaro. Il risultato? A gruppi di tre, gli amici che aveva su Facebook, hanno ricevuto quel video e al malcapitato non è rimasto altro da fare che rivolgersi alle forze dell’ordine e denunciare l’accaduto. Le organizzazioni criminali che, celandosi dietro falsi profili social, ricattano uomini soli, hanno perfezionato una tecnica quasi infallibile, pur di convincere gli ingenui maschietti a fidarsi delle presunte modelle che appaiono nella foto del profilo. D’altra parte, su Facebook, si tende maggiormente ad accettare, tra i propri contatti, persone con le quali si hanno amici in comune. E quindi, individuato il bersaglio, esaminata accuratamente la lista degli amici, inviata la richiesta di amicizia a due o tre di questi ultimi si deve solo attendere che la trappola scatti.
Molti, mossi dall’istinto e dalla vergogna, per prima cosa, si cancellano da Facebook. Ma non è sufficiente. È necessario chiedere la rimozione del video al gestore del sito sul quale è stato caricato e rivolgersi alla Polizia Postale. Torna, dunque, prepotentemente il tema della sicurezza online: cosa condividere e cosa, invece, è consigliabile tenersi per sé. L’altro giorno, a Roma, Facebook insieme con il ministero della Giustizia hanno presentato il rapporto “Pensa prima di condividere”, un vero e proprio decalogo di buone norme di condotta su internet e su Facebook, dedicato ai più giovani, ma utile anche per chi è più avanti negli anni. 
Condividere è certamente una pratica positiva, ma è necessario che lo si faccia in maniera adeguata, onde evitare problemi per gli altri e per sé stessi. Alcuni siti di social network o applicazioni promettono di eliminare automaticamente le immagini o i video dopo una visualizzazione di qualche secondo – è scritto nel rapporto, consultabile online - ma non è sempre così scontato, ad esempio chi visualizza l’immagine potrebbe catturarla con uno screenshot. E lo stesso discorso vale anche per le videoriprese, perché – si legge nel sommario del decalogo - «quello che posti dice chi sei»: tutto ciò che si condivide rappresenta l’identità virtuale che, a conti fatti, tanto distante da quella reale non è.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA