Salvarsi dal virus e morire d'infarto: la paura dell'ospedale fa impennare i casi

Salvarsi dal virus e morire d'infarto: la paura dell'ospedale fa impennare i casi
di Raffaele Alliegro
Martedì 21 Aprile 2020, 11:55 - Ultimo agg. 13:53
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Salvarsi dal Covid e morire di infarto. Sarebbe una beffa. Ma è anche il rischio che si corre in questi giorni difficili in cui ci si può ritrovare stretti tra opposte emergenze e diverse paure. In Italia la gente evita gli ospedali per timore del contagio da coronavirus e dunque trascura i sintomi legati a molte altre patologie.

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Così, dall'inizio dell'emergenza Covid-19, è quasi triplicata la mortalità per infarto acuto e sono diminuite del 40% le procedure salvavita di cardiologia interventistica. Con un terribile paradosso: se la tendenza dovesse continuare, la mortalità per infarto potrebbe superare quella direttamente associata al coronavirus.

Sono queste le conclusioni a cui è giunto uno studio basato sull'esperienza clinica del Centro Cardiologico Monzino di Milano. Studio che ha peraltro confermato dati internazionali analoghi, come sottolineano gli autori Giancarlo Marenzi, responsabile della Unità di terapia intensiva cardiologica, Antonio Bartorelli, responsabile della Cardiologia interventistica, e Nicola Cosentino dello staff dell'Unità di terapia intensiva cardiologica.

Spiega Giancarlo Marenzi: «Dall'inizio dell'epidemia Covid i pazienti arrivano in ospedale in condizioni sempre più gravi, spesso già con complicanze aritmiche o funzionali, che rendono molto meno efficaci le terapie che da molti anni hanno dimostrato di essere salvavita nell'infarto come l'angioplastica coronarica primaria. Il perché risulta chiaro in tutti i Paesi maggiormente colpiti dalla pandemia: il virus, che non sembra avere un ruolo primario nell'infarto, spinge la gente a rimandare l'accesso all'ospedale per paura del contagio. Purtroppo però questo ritardo è deleterio, e spesso fatale, perché impedisce trattamenti tempestivi e nell'infarto il fattore tempo è cruciale. Il Monzino, insieme ad altri ospedali e società scientifiche italiane e internazionali, dopo aver osservato il calo degli accessi al pronto soccorso ha già lanciato, settimane fa, un appello a non rimandare le cure. Ora i dati di mortalità legata a questo calo ci danno ragione, e ci sollecitano a ripetere con più forza: per evitare il virus non dobbiamo rischiare di morire di infarto».

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Ma il problema non è soltanto italiano. Lo studio, fa sapere una nota del Monzino, cita anche i risultati di un'analisi sull'attività di 81 terapie intensive cardiologiche in Spagna tra il 24 febbraio e l'1 marzo che è stata confrontata con quella dello stesso periodo dell'anno scorso. Questa attività è diminuita in modo significativo parallelamente al calo dei ricoveri per infarto e alla riduzione del 40% delle procedure di angioplastica coronarica primaria.

La stessa riduzione registrata negli Stati Uniti, in base ai risultati di un'inchiesta pubblicata da Angioplasty.org, comunità internazionale di cardiologi in rete. A New York, del resto, dal 30 marzo al 5 aprile si sono registrate 1.990 chiamate d'urgenza per arresto cardiaco. Quattro volte di più che nello stesso periodo dello scorso anno. Con un tasso di mortalità 8 volte superiore.

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