Coronavirus, rianimazioni, il caso Lazio: pochi malati, tanti ricoveri «Nuovi pazienti più fragili»

Coronavirus, rianimazioni, il caso Lazio: pochi malati, tanti ricoveri «Nuovi pazienti più fragili»
Coronavirus, rianimazioni, il caso Lazio: pochi malati, tanti ricoveri «Nuovi pazienti più fragili»
di Lorenzo De Cicco
Domenica 14 Giugno 2020, 12:44 - Ultimo agg. 12:45
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Un quinto dei pazienti Covid ancora in terapia intensiva in tutta Italia è ricoverato nel Lazio, una regione sin qui non particolarmente funestata dal virus, fatta eccezione per i cluster degli ultimi giorni, a partire dal caso San Raffaele. I pazienti ancora in rianimazione nella regione della Capitale sono 45, quasi la metà della Lombardia (96), che però è il territorio più bersagliato dall'epidemia e dove comunque il numero di malati attualmente in cura, tra chi è in ospedale e chi è in isolamento a casa, è impareggiabilmente più alto: 16.785 positivi attuali, così annota l'ultimo bollettino della Protezione civile. In Lombardia, il rapporto tra ricoverati in terapia intensiva e «positivi attuali» è dello 0,57%. Nel Lazio è oltre cinque volte tanto: 3,32%, considerato che i malati ora sono 1.357. In termini assoluti, il Lazio quindi è la seconda regione d'Italia per numero di pazienti che, con la curva dei contagi lontanissima dai livelli di marzo-aprile e in piena fase di riaperture, hanno ancora bisogno di cure intensive, monitoraggi h24, ventilatori polmonari. Più del Piemonte (27 ricoverati in rianimazione su 2.820 malati Covid, lo 0,96%); più dell'Emilia Romagna (15 in terapia intensiva su 1.727 attualmente positivi, lo 0,87%), altre zone d'Italia dove il coronavirus si è propagato a tutti altri ritmi.

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C'è un caso Lazio, quindi? E come potrebbe essere spiegato? Non sembra decisivo stavolta un parametro che spesso va tenuto a mente, quando si tratta di Covid, numeri e percentuali: i tamponi. Altre regioni che hanno realizzato grosso modo lo stesso numero di esami del Lazio (294.654), come la Toscana (289.524) oggi si ritrovano con molti meno pazienti in terapia intensiva (16). Pure in Campania, dove sono state eseguite 234mila analisi, i malati in rianimazione sono soltanto 2.

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Nel Lazio si contano tanti pazienti ricoverati anche nei reparti extra-rianimazione, la cosiddetta degenza ordinaria: 303 ricoveri a ieri sera (oltre l'8% di tutta Italia), che fanno di Roma e dintorni la terza regione dopo la Lombardia (2.252) e il Piemonte (510), prima dell'Emilia Romagna (192 ricoverati in reparti non di terapia intensiva). Anche il rapporto tra «attualmente positivi» e ricoveri in ospedale, mettendo nel computo sia la degenza ordinaria che la rianimazione, è sopra la media: a livello nazionale il 14,4% è curato in ospedale, il resto in isolamento domiciliare. Nel Lazio, il 25% è assistito in un reparto, anche se questa percentuale si è gonfiata di molto nelle ultime 24 ore, visto che la Regione ha dichiarato oltre mille pazienti guariti da un giorno all'altro, un record: si è passati dai 2.222 «positivi attuali» di venerdì ai 1.357 di ieri. Ma i ricoverati sono comunque aumentati, otto in più a ieri sera.
Secondo Emanuele Nicastri, direttore della divisione Malattie infettive dello Spallanzani, «questa tendenza si spiega perché nel Lazio l'ondata del contagio è arrivata dopo rispetto ad altre zone d'Italia. In sostanza, ancora dobbiamo far fronte a una coda di pazienti che si è infettata mesi fa, tra aprile e maggio».

Di norma la degenza in terapia intensiva è piuttosto lunga: «Circa 4-6 settimane». A volte anche di più: «Abbiamo pazienti ricoverati da 70 giorni - prosegue il virologo dell'Istituto nazionale di malattie infettive - per fortuna ora ci troviamo in una situazione in cui la pressione sui reparti si è molto alleggerita rispetto alla prima fase dell'emergenza e questo ci consente di proseguire, per chiunque ne abbia bisogno, con il ricorso alla rianimazione e al monitoraggio costante dei parametri vitali». C'è anche un'altra spiegazione, rimarca Nicastri: «I nuovi casi emersi nel Lazio si riferiscono a pazienti particolarmente fragili, pazienti che spesso erano già ospedalizzati o in istituti, quindi alle prese con altre patologie, a volte gravi. Per molti di loro il supporto della terapia intensiva è ancora essenziale». Si può ipotizzare che il numero dei ricoverati cali a breve? «Non nell'immediato, direi. Anzi: visti gli ultimi focolai, non mi stupirei se il dato crescesse ancora».
 

 



 

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