Pandemia, 2 anni dopo. L'infettivologo dello Spallanzani: «Da noi i primi pazienti cinesi, ancora troppi medici sbagliano le cure»

Emanuele Nicastri: "Era malattia completamente nuova, da allora abbiamo imparato tanto"

Pandemia, 2 anni dopo. L'infettivologo dello Spallanzani: «Da noi i primi pazienti cinesi, ancora troppi medici sbagliano le cure»
Pandemia, 2 anni dopo. L'infettivologo dello Spallanzani: «Da noi i primi pazienti cinesi, ancora troppi medici sbagliano le cure»
di Mauro Evangelisti
Lunedì 21 Febbraio 2022, 07:57 - Ultimo agg. 22 Febbraio, 07:03
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«Dopo due anni di battaglia contro il Covid una cosa mi sento di dire a chi ha scelto di non vaccinarsi: siete quelli che rischiano di più in caso di malattia, non aspettate ad andare in pronto soccorso, abbiate fiducia nella classe medica. Se chiederete aiuto troppo tardi, diventerà ancora più difficile curarvi perché nessun antivirale può essere efficace dopo dieci giorni. Ad alcuni medici di base che invece continuano a prescrivere ancora farmaci che si sono dimostrati dannosi dico: per favore, non lo fate. Lo scriva a caratteri cubitali».

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Il professor Emanuele Nicastri è il direttore della Divisione di Malattie Infettive ad Elevata Intensità di cura dell'Istituto Spallanzani di Roma. Nel giorno dedicato agli operatori sanitari, va ricordato che nel suo reparto è cominciato tutto, in Italia. Ancora prima dei Codogno. Allo Spallanzani fu curata la coppia di turisti cinesi, i primi due casi di Covid nel nostro Paese. Era il 29 gennaio 2020 quando furono ricoverati.
All'inizio della pandemia tutti vi applaudivano. Eravate gli eroi. Dopo due anni voi medici e infermieri spesso siete nel mirino di una minoranza che vi contesta, anche in modo violento e irrazionale. Non è frustrante?
«È frustrante solo per chi non pensa di fare sempre il proprio lavoro secondo scienza e coscienza. Chi lo fa, gli basta questo. Il resto non conta».
Professore, sono stati due anni terribili per voi operatori sanitari in prima linea.
«Dopo i pazienti cinesi e dopo Codogno cominciammo a ricoverare persone che avevano collegamenti con la Lombardia e con Atalanta-Valencia, la partita che fece esplodere il contagio.

Nei nostri reparti arrivavano intere famiglie, accoglievamo perfino i casi sospetti. E nella prima video call, il 5 febbraio 2020, con i colleghi di Wuhan, in cui parlammo delle condizioni dei due turisti cinesi, ricevemmo le iniziali informazioni che ci furono molto utili anche in seguito. Iniziammo così a usare il farmaco antivirale Remdesivir, che tutt'ora usiamo. Poi utilizzammo il cortisone. Quella vicenda ci ha dato un modello. Nelle settimane successive prendemmo cin considerazione anche altri farmaci, che però poi abbiamo accantonato perché abbiamo capito che, per l'evidenza scientifica, andavano abbandonati. Abbiamo avuto la capacità di essere critici con noi stessi, giorno dopo giorno, di fronte a una malattia del tutto nuova. Una capacità che purtroppo sul territorio spesso viene a meno anche oggi. Vedo utilizzare farmaci che non sono efficaci come l'idrossiclorochina».

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Ma qualche medico di base la usa ancora?
«E usano l'azitromicina: è un antibiotico, non va prescritto per una infezione che è virale, lo scriva anche questo a caratteri cubitali. Così come non serve a nulla usare cortisone a domicilio, perché si peggiora la prognosi. Chi lo riceve a casa muore di più perché riduce la possibilità di produrre gli anticorpi che nel 95 per cento dei casi determinano la risoluzione della malattia. Il cortisone va usato solo quando il paziente inizia ad avere una insufficienza respiratoria e va ricoverato».
Tutto questo lo avete imparato in due anni in prima linea.
«Oggi abbiamo a disposizione antivirali per via orale, antivirali per via endovenosa, monoclonali. Per fortuna abbiamo molte armi che prima non avevamo».
Però questi farmaci funzionano solo nella primissima fase della malattia. Ma dopo due anni di lavoro in prima linea come si vive il rapporto con i pazienti non vaccinati che continuano a riempire gli ospedali?
«Vorrei parlare a tutti i No vax. Hanno fatto una scelta che non condivido in alcun modo, ma provo a mettermi nei loro panni senza giudicarli: se prendete il Covid, non avete alcuna protezione, per cui non affidatevi a domicilio a cure contraffatte che non hanno supporto basato sull'evidenza scientifica. Non abbiate diffidenza della classe medica, noi accogliamo chiunque. Anche coloro che non hanno fatto un vaccino. Non condivido la vostra scelta, ma noi medici sappiamo come curarvi».

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