Green Pass, Locatelli: «Deve restare anche dopo le riaperture. Fine delle limitazioni col 90% degli immuni»

Green Pass, Locatelli: «La Carta verde deve restare anche dopo le riaperture. Fine delle limitazioni col 90% degli immuni»
Green Pass, Locatelli: «La Carta verde deve restare anche dopo le riaperture. Fine delle limitazioni col 90% degli immuni»
di Mauro Evangelisti
Lunedì 6 Settembre 2021, 00:11 - Ultimo agg. 10:33
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«Sicuramente dobbiamo vaccinare il più possibile. E se si raggiungerà l’obiettivo del 90 per cento di popolazione immunizzata, potremo pensare a riaprire tutto, a eliminare le limitazioni». Il professor Franco Locatelli, coordinatore del Comitato tecnico scientifico, ieri ha aperto con il suo intervento i lavori del G20 dei Ministri della Salute in corso a Roma, ai Musei Capitolini. Ma mentre parla della necessità di vaccinare tutti i continenti e garantire assistenza sanitaria anche ai Paesi più poveri, non può esimersi dall’analizzare la fase attuale italiana tra Green pass e ipotesi di rendere obbligatorio il vaccino.

Professore, ieri in una intervista al Messaggero, l’assessore alla Sanità del Lazio, Alessio D’Amato, ha detto: diamoci un obiettivo e consentiamo alle Regioni che vaccinano il 90 per cento della popolazione di riaprire tutto e rinunciare al Green pass, come sta facendo la Danimarca.
«In quel che dice l’assessore Alessio D’Amato c’è del vero, quando afferma “più riusciamo a vaccinare, più riusciamo a riaprire”.

Non avrei la minima esitazione a sottoscrivere questa parte. Però non penso che si possa pensare a percentuali regionali. Ritengo che si debba riaprire tutto solo se il 90 per cento della popolazione immunizzata è su base nazionale. E mi faccia però togliere un sassolino dalle scarpe: quando abbiamo fatto certe scelte di graduali riaperture, c’era chi aveva previsto 30-40mila infezioni al giorno. Anche per merito degli italiani, che sono stati attenti, non è andata così».

Potremo rinunciare al Green pass con più persone vaccinate come sta facendo la Danimarca?
«Su questo sarei molto più cauto. So che c’è chi ritiene che il Green pass sia soltanto uno modo per incentivare la vaccinazione, ma io invece sono convinto che sia anche un importante strumento di salute pubblica. Vero, non garantisce al 100 per cento di non essere infettati, ma ho pochi dubbi che riduca drasticamente il rischio. Io sono per una applicazione ancora più estesa del Green pass».

A quali categorie?
«All’amministrazione pubblica ma anche alle forze dell’ordine».

Il premier Draghi ha aperto all’obbligatorietà del vaccino.
«Anche il ministro Speranza ha detto chiaramente che è una opzione praticabile. L’articolo 32 della Costituzione ribadisce che la salute è un bene dell’individuo ma è anche un bene pubblico, della collettività. Io ritengo che l’obbligatorietà sia una opzione razionale, da considerare per ridurre la circolazione virale. Ma non può essere una indicazione del Cts, è una scelta che appartiene alla politica. Farei notare che l’Italia ha fatto già da apripista con l’obbligo per gli operatori sanitari».

Presto riapriranno le scuole, ma rispetto a un anno fa non è cambiato nulla.
«Ma non è così. Oggi circa il 90 per cento del personale scolastico è immunizzato con almeno una dose. Per quanto riguarda gli studenti, tra i 15 e i 17 anni ha ricevuto almeno una dose più del 70 per cento; tra i 12 e i 14 anni siamo al 50 per cento. Si tratta di un cambiamento straordinario rispetto all’anno scorso».

È preoccupato dalle notizie che arrivano dagli Usa sull’incremento dei ricoveri di bambini per Covid?
«Guardi che anche in Italia i numeri di casi di Covid in età pediatrica sono in crescita, per questo io sono favorevole al vaccino anche per i bambini quando ve ne sarà uno autorizzato. Un recente studio parla di conseguenze da long covid anche in età pediatrica».

Comincia a registrarsi un decadimento della protezione dei vaccini tra i primi immunizzati. Ci sarà la terza dose per tutti?
«Mettiamo in chiaro alcuni dati: il cosiddetto decadimento della copertura protettiva l’abbiamo soprattutto in termini di titolo di anticorpi e magari c’è un abbassamento, ma neanche così clamoroso, di efficacia contro l’infezione. Contro lo sviluppo di malattia grave al momento non c’è nessun declino. Detto questo, è vero che c’è una riflessione conclusa, con parere favorevole anche del Comitato tecnico scientifico, per la somministrazione di una dose addizionale ai soggetti che abbiamo forme di immunodepressione. E si è avviata anche una riflessione per ultra 80enni nelle Rsa o per soggetti come operatori sanitari che hanno determinati ruoli a contatto con i malati. Ma non è per nulla scontato che la terza dose sarà necessaria per tutta la popolazione. Va anche detto che se dovesse servire, l’Italia ha dosi sufficienti per i prossimi due anni per tutti i cittadini».

Professore, al vertice dei ministri della Salute del G20 il primo intervento è stato proprio il suo. Come si superano le diseguaglianze nel corso di una pandemia?
«Ho avuto il privilegio e l’onore di fare l’intervento ufficiale per aprire i lavori del G20 sulla salute. Credo che il meeting sia stato un momento importante perché si è fatto il punto della situazione sull’impatto della pandemia sugli obiettivi di sviluppo sostenibile. Nel 2015 le Nazioni unite hanno fissato l’agenda 2030 per 17 obiettivi di sviluppo sostenibile. Ovviamente la salute ha un ruolo forte, pensi che i primi due obiettivi sono ad esempio dedicati alla lotta alla povertà e all’eliminazione della fame del mondo, in cui le connessioni con la sanità sono evidenti. Ma il terzo è specificatamente dedicato proprio alla salute. Uno dei punti qualificanti è garantire una copertura sanitaria universale, quando è partito il piano c’erano 400 milioni di persone nel mondo senza copertura sanitaria, mentre l’accesso a buoni sistemi di cura dovrebbero essere un diritto dell’uomo».

Cosa si può fare?
«Servono investimenti importanti, una crisi come quella della pandemia ha avuto un impatto fortissimo, purtroppo. Tutti sono d’accordo sull’equità di accesso ai vaccini. Nel mio intervento ho ricordato che la pandemia ha interrotto i programmi di immunizzazione dell’infanzia per altre patologie in 70 Paesi, come poliomielite, tetano, epatite e morbillo, per fare alcuni esempi. Le spese sanitarie non devono mai essere considerate un costo, ma valutate sempre e comunque come un investimento. Garantire il vaccino a tutti, al di là di ovvie ragioni umanitarie, serve a limitare la circolazione virale e serve anche a ridurre il rischio che emergano nuove varianti».
 

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