Omicron o Delta, quale variante ha infettato i pazienti in terapia intensiva? L'effetto "coda" che ingolfa gli ospedali

Omicron o Delta, che variante ha infettato i pazienti in terapia intensiva? Le differenze dagli ospedali nel mondo
Omicron o Delta, che variante ha infettato i pazienti in terapia intensiva? Le differenze dagli ospedali nel mondo
di Simone Pierini
Sabato 8 Gennaio 2022, 12:53 - Ultimo agg. 9 Gennaio, 14:14
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L'effetto tsunami sui contagi provocato dalla variante Omicron in tutto il mondo non si sta propagando con la stessa prepotenza nelle terapie intensive. L'impatto nei reparti dove sono ricoverati i malati gravi è infatti inferiore rispetto all'area medica in confronto ai tempi dell'ondata provocata dalla variante Delta. E secondo studi provenienti da diversi Paesi la percentuale maggiore dei pazienti intubati o sottoposti a ventilazione causa polmonite sarebbe dovuta proprio alla coda della Delta che, come ormai dimostrato da numerosi pubblicazioni scientifiche, presenta sintomi diversi e sostanzialmente più lievi.

In terapia intensiva prevale Delta? I dati dai Paesi

In Australia i dati estratti dai sequenziamenti dei tamponi dei malati Covid mostrano come il 74% dei pazienti in terapia intensiva abbia contratto la Delta e non Omicron. Di questi - ha dichiarato la dottoressa Sonya Bennett, consulente medico del governo - oltre il 60 per cento non sono vaccinati e il restante 40 per cento si divide tra chi non ha completato il ciclo con tre dosi e persone molto anziane alle prese con gravi comorbidità pregresse. Allo stesso modo in Irlanda l'Health Service Executive ha affermato che la maggior parte delle persone nelle unità di terapia intensiva è risultato contagiato dalla variante Delta e si trova ricoverato a causa dell'effetto del ritardo nella progressione della malattia. In Gran Bretagna il segretario all'Istruzione Nadhim Zahawi ha sostenuto che Omicron sta producendo uno schema più promettente rispetto alla variante Delta in termini di numero di persone che necessitano di ventilatori e di durata del tempo trascorso in unità di terapia intensiva. «Sappiamo che Omicron è meno grave e che, una volta ricevuta la terza dose booster, le chance di finire ricoverati in ospedale sono inferiori del 90% rispetto alla variante Delta».

Ha aggiunto ieri il ministro della Sanità britannico, Sajid Javid, visitando il King's College Hospital di Londra e riferendosi alle «ultime analisi» condotte nel Regno Unito. Il ministro ha tuttavia aggiunto che gli ospedali hanno ancora di fronte «qualche settimana burrascosa» a causa del numero di contagi e delle assenze fra lo staff, con altre due strutture sanitarie dichiarate proprio oggi in stato di allerta in Inghilterra.

 

 

 

Il caso Londra: ricoveri in calo

Londra è forse l'esempio emblematico dell'evoluzione di Omicron. La "city" è stata letteralmente travolta dalla nuova variante che è esplosa in un trend di contagi altissimo, una fiammata che ha coinvolto una buona fetta della popolazione. Arrivati al picco, ora i casi sono scesi del 20 per cento. Ma l'analisi dei ricoveri è ancora più indicativa. Secondo quanto riportato dal Financial Times fino a metà gennaio l'occupazione in ospedale cresceva del 60 per cento rispetto alla settimana precedente. Poi la brusca frenata con la percentuale scesa al 18 per cento. 

 

Il caso New York 

Negli Stati Uniti, nelle aree dove è maggiore la diffusione di Omicron, da New York alla Florida fino al Texas, una percentuale minore di pazienti sta finendo nelle unità di terapia intensiva e meno di loro richiedono l'ausilio della ventilazione meccanica. Circa il 50-65% dei ricoveri in alcuni ospedali di New York arrivano per altri disturbi e poi risultano positivi al virus. «Stiamo assistendo a un aumento del numero di ricoveri», ha affermato al New York Times il dottor Rahul Sharma, medico di emergenza capo dell'ospedale NewYork-Presbyterian/Weill Cornell. «Ma la gravità della malattia sembra diversa dalle ondate precedenti, ha detto. «Non stiamo inviando così tanti pazienti in terapia intensiva, non stiamo intubando così tanti pazienti e, in realtà, la maggior parte di coloro che stanno arrivando al pronto soccorso che risultano positivi vengono effettivamente dimessi».

In Italia la coda Delta in ospedale? 

In Italia non abbiamo a disposizione un dettaglio preciso (aggiornato ad oggi) della presenza di Omicron ma sappiamo che fino al periodo precedente alle festività natalizie, ovvero prima dell'impennata di contagi, Delta era ancora la variante prevalente salvo poi essere sovrastrata col passare dei giorni. «Buona parte di questo picco di mortalità è figlio di infezioni di una ventina di giorni fa - ha dichiarato l'epidemiologo Perluigi Lopalco - quando in Italia circolava solo la variante Delta. Dunque bisogna stare attenti: l'ondata di contagi da Omicron che registriamo in questi giorni non va sommata al picco dei decessi. Anche Omicron farà male ma molto meno di Delta». 

Secondo l'ultimo report settimanale dell'Istituto superiore di sanità il tasso di occupazione in terapia intensiva questa settimana è al 15,4% (rilevazione giornaliera Ministero della Salute al 06 gennaio) contro il 12,9% (rilevazione giornaliera Ministero della Salute al 30 dicembre) della settimana precedente. Il tasso di occupazione in aree mediche a livello nazionale sale invece al 21,6% (rilevazione giornaliera Ministero della Salute al 06 gennaio) rispetto al 17,1% (rilevazione giornaliera Ministero della Salute al 30 dicembre). 

Omicron infetta la gola più dei polmoni

Omicron avrebbe maggiori probabilità di infettare la gola rispetto ai polmoni e quindi, secondo gli scienziati, pur rischiando di essere più infettiva sarebbe meno letale rispetto ad altre mutazioni del virus. Lo riporta il Guardian analizzando sei recenti studi internazionali La variante «sembra più in grado di infettare la gola dove si moltiplicherebbe più facilmente che nelle cellule profonde nel polmone. Si tratta di risultati preliminari, ma gli studi puntano nella stessa direzione». L'ipotesi che Omicron si moltiplichi di più in gola la renderebbe più trasmissibile, spiegando la rapida diffusione rispetto al virus - scrive il sito britannico riportando gli studi - che attacca i polmoni, più pericoloso ma meno trasmissibile. Secondo uno studio del Molecular Virology Research Group dell'Università di Liverpool Omicron porta a «malattie meno gravi» nei topi, con carica virale inferiore e polmoniti meno gravi. «Il modello animale suggerisce che la malattia è meno grave della Delta e del virus Wuhan originale. Sembra essere eliminato più velocemente e gli animali si sono ripresi più rapidamente». Anche dal Neyts Lab dell'Università di Leuven in Belgio arrivano risultati simili nei criceti siriani. E, un'ulteriore prestampa, presentata a Nature da ricercatori Usa, conferma la tesi. Omicron - rileva poi il Centro per la ricerca sui virus dell'Università di Glasgow - sarebbe sostanzialmente in grado di eludere l'immunità dopo due dosi ma con il booster c'è «un ripristino parziale dell'immunità». La sfilza di ricerche di Natale si basa su uno studio dell'Università di Hong Kong del mese scorso che mostra una minore infezione da Omicron nei polmoni e sulla ricerca guidata dal professor Ravi Gupta dell'Università di Cambridge, secondo cui la variante è meno in grado di entrare nelle cellule polmonari. L'ultima conferma arriva dall'University College di Londra secondo cui molti tamponi effettuati solo nel naso davano esito negativo, mentre se ripetuti anche con un prelievo in gola risultavano positivi.

L'impatto di Omicron tra i giovani

Per i bambini al di sotto dei 5 anni il rischio di essere ricoverati per Covid-19 è un terzo rispetto al periodo in cui circolava la variante Delta. È uno dei dati salienti emersi da uno studio coordinato dalla Case Western Reserve University di Cleveland (Usa) e reso disponibile in pre-print su medRxiv. La ricerca ha analizzato quasi 580 mila diagnosi di Covid-19 effettuate nel corso del 2021, confrontando gli esiti dell'infezione nel periodo 'pre-Omicron' con quelli successivi alla comparsa della nuova variante. Nel complesso, lo studio ha rilevato un dimezzamento del rischio di ricovero, passato dal 3,95% del periodo di circolazione della variante Delta all'1,75% di quello di Omicron. Il rischio di visita in pronto soccorso è sceso dal 15,22% al 4,55%; quello di ricorso alla terapia intensiva dallo 0,78% allo 0,26%; quello di avere bisogno della ventilazione meccanica dallo 0,43% allo 0,07%. Particolarmente rilevanti i dati sui bambini, specie quelli al di sotto dei 5 anni che attualmente sono l'unica fascia di età rimasta scoperta dalle vaccinazioni. Anche in questo caso i dati sono rassicuranti: il rischio di ricovero è un terzo nel periodo di circolazione di Omicron rispetto a quello in cui era dominante la variante Delta (0,96% contro il 2,65%); il rischio di visita in pronto soccorso è passato dal 21,01% di Delta al 3,89% di Omicron. Lo stesso trend è stato osservato nei bambini e ragazzi più grandi. L'esiguo numero di casi non ha consentito invece ai ricercatori di trarre conclusioni sulle differenze in termini di necessità di terapia intensiva e di cure avanzate. «Nonostante questo risultato incoraggiante, sono necessari ulteriori studi per monitorare le conseguenze a lungo termine dell'infezione da Omicron, la sua propensione allo sviluppo di long-Covid, l'impatto della rapidità della diffusione del virus e delle mutazione e per capire come i vaccini, i richiami o le precedenti infezioni possano alterare le risposte cliniche», avvertono i ricercatori.

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