Covid, Andreoni (primario di Infettivologia di Tor Vergata): «Piano pandemico in ritardo, paghiamo le mancate scelte»

«Piano pandemico in ritardo, paghiamo le mancate scelte»
«Piano pandemico in ritardo, paghiamo le mancate scelte»
di Mauro Evangelisti
Mercoledì 13 Gennaio 2021, 07:48 - Ultimo agg. 17 Febbraio, 11:08
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«Dobbiamo organizzare il sistema sanitario in modo da non dovere mai essere costretti a scegliere. Però bisogna essere realisti: un medico, in una emergenza, si trova sempre a prendere delle decisioni, e se messo alle strette dagli eventi, preferisce riservare il posto a chi ha una più alta aspettativa di vita».
Il professor Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e primario di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma, da quando è cominciata la pandemia è in prima linea nella battaglia contro Covid-19.
Finalmente si torna a parlare di un piano pandemico aggiornato. Ma è stato così grave, per l'Italia, non averlo avuto subito?
«È stato un errore: un piano pandemico aggiornato ci avrebbe aiutato ad avere contezza di ciò che mancava. Il piano ci avrebbe aiutato ad avere tutto ciò che serviva. Avremmo definito meglio le esigenze».
Nella bozza del nuovo piano ha suscitato molta attenzione il passaggio in cui si dice: se le risorse scarseggiano, è necessario scegliere chi curare.
«Premesso che bisogna fare di tutto per essere organizzati e avere le risorse necessarie, i posti letto, i farmaci. Però, a costo di apparire cinico, è giusto avere anche il coraggio di dire che questo tipo di scelte si fanno. Non si tratta di penalizzare gli anziani, un soggetto fragile con una breve aspettativa di vita può essere anche una persona giovane. Ma è inevitabile che, a un certo punto, se sei costretto a decidere chi curare prima, ti dedichi a colui che ha più possibilità di vivere. In questa pandemia nel Lazio non è successo, in Lombardia, nei primi drammatici mesi, sì».
Sul fronte dell'andamento dell'epidemia i giorni rossi e arancioni tra il 21 dicembre e il 6 gennaio hanno limitato i danni, in termini di incremento dei contagi. Rischiamo di disperdere questi risultati con la riapertura delle scuole?
«Sì. Abbiamo mitigato l'effetto vacanze, che comunque si farà sentire. Riaprire le scuole ridarà vigore all'epidemia. Non dobbiamo alimentare il fuoco. Tanto più che siamo in una fase importante, quella della vaccinazione».
In che modo l'epidemia può influenzarla?
«Finalmente cominceremo a vaccinare sul territorio. Farlo in una situazione di alta trasmissione del virus, è complicato. Rinviare l'apertura delle scuole di un paio di settimane sarebbe una scelta intelligente».
Ritiene che il sistema dei colori, a cui siamo tornati, sia sufficiente per limitare la diffusione del virus?
«Queste misure sono valide se siamo in una situazione epidemica controllata, sono poco efficaci se il virus è fuori controllo. Purtroppo quando parte, servono misure molto rigide».
Rischiamo uno scenario come quello drammatico del Regno Unito in cui il contagio sembra, davvero, inarrestabile?
«Secondo me no. L'Italia, pur con tutti i limiti del sistema, interviene prima per fermare il contagio. Noi non arriviamo mai a situazioni gravi come quella britannica o francese, perché interveniamo quando vediamo che la situazione sta sfuggendo di mano. Lo facciamo più o meno rapidamente, ma di certo non così tardivamente come in Francia e nel Regno Unito».
L'arrivo di qualche variante, come quella inglese, potrebbe metterci in difficoltà?
«Possibilità remota. Di varianti ne sono state identificate già molte, hanno più o meno aumentato il rischio di trasmissione, ma in alcuni casi si è ridotta la virulenza. Non hanno mutato il decorso dell'epidemia. Conta di più la capacità di rispondere con le misure di contenimento. Qualsiasi variante, anche ad alta trasmissibilità, viene rallentata dalle chiusure. Non dico che una maggiore contagiosità di una variante non abbia un peso, ma conta sempre molto di più una tempestiva risposta con misure di contenimento. Sia chiaro: monitorare le varianti è importante e va fatto. Comunque, al momento, dalle informazioni disponibili è altamente probabile che i vaccini controllino queste varianti».
Come sono cambiati i pazienti di Covid-19?
«Tendenzialmente l'età media si è abbassata, anche se non di molto. Questo dimostra che il virus sta circolando molto di più. E dal punto di vista delle terapie non ci sono stati significativi passi in avanti. Abbiamo capito cosa non va fatto e quando fare ciò che funziona, ma non c'è un farmaco risolutivo».

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