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CORONAVIRUS

Vaccino, campagna troppo lenta. Galli: «Il virus corre, medici e infermieri sono allo stremo»

Vaccino, Galli: «Così la campagna non decolla, servono i medici in pensione»
Vaccino, Galli: «Così la campagna non decolla, servono i medici in pensione»
di Claudia Guasco
Articolo riservato agli abbonati
Lunedì 4 Gennaio 2021, 07:12 - Ultimo agg. : 10:34
4 Minuti di Lettura

Il professor Massimo Galli, direttore del reparto di Malattie infettive dell'Ospedale Sacco di Milano, è testimonial del vaccino contro il Covid e farà la seconda iniezione il 18 dicembre. «Come sto? Bene. Per distrarmi e non leggere di Covid oggi ho rimesso mano a un saggio sulla peste dei notabili che flagellò la Siria tra il 716 e il 717. Non nascondo che la situazione che stiamo vivendo mi preoccupa». Gennaio si prospetta un mese critico, con il rischio di contagi in crescita dopo le feste, la riapertura di scuole e uffici e una campagna vaccinale che stenta a decollare. Secondo il bollettino nazionale aggiornato a ieri alle 13, il totale delle vaccinazioni effettuate è di 84.730 a fronte di 479.700 dosi consegnate. Con differenze abissali tra le Regioni: se il Lazio ha già somministrato il 38% delle dosi ricevute, la Lombardia è ferma al 3%.

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Vaccino, positiva dottoressa di Siracusa 6 giorni dopo la prima dose: è ricoverata. «Lo rifarei»
Basta una dose per l'immunità? La risposta è no

Vaccino, basta una dose per l'immunità? La risposta è no (e serve prudenza anche dopo la seconda)

Vaccino, positiva dottoressa di Siracusa 6 giorni dopo la prima dose: è ricoverata. «Lo rifarei»

L'obiettivo di immunizzare il 70% degli italiani dopo l'estate è realizzabile, professore?
«Con tutta la possibile chiarezza nell'illustrare vantaggi e necessità della profilassi, credo che sarà comunque molto difficile condurre la campagna vaccinale se non si tiene conto che in tutta Italia il personale sanitario è duramente provato e difficilmente può farsi carico di altro lavoro straordinario, particolarmente in Lombardia. Credo si debba essere realisti: medici da assumere e infermieri liberi da impegni da reclutare ne abbiamo pochissimi, e quei pochi scarsamente interessati ad attività di carattere temporaneo come questo piano di profilassi. Il personale in termini numerici si è nel tempo molto rarefatto».

Come si risolve il problema?
«Ragionando ad esempio sulla possibilità di fare ricorso a medici e infermieri che sono andati in pensione negli ultimi quattro anni e che siano volontariamente disponibili a farsi carico di parte del lavoro e contribuire alla campagna vaccinale. Questo con i dovuti riconoscimenti e le garanzie assicurative del personale operativo a tutti gli effetti. Ci riflettevo proprio in questi giorni. Che nel periodo festivo parte del personale si sia preso qualche momento di pace è comprensibile e questo ha rallentato le vaccinazioni, riducendo il numero sia dei vaccinatori sia dei vaccinandi disponibili, specie, immagino, in Lombardia. Anche perché non è che ci si aspetti un gennaio facile. L'attuale situazione dell'epidemia non può essere definita brillante. Mi spiace davvero dirlo, sembra che veda le cose solo negativamente, ma non servono grandi ragionamenti per affermarlo».

Basta guardare i numeri.
«Non mi stupisce che in questi giorni la percentuale dei positivi sui tamponi fatti che sono meno del solito, come sempre nei periodi di festa sia più alta. In questi giorni è probabile che siano stati fatti in proporzione più tamponi a persone con sintomi. Ma anche questo non è un fenomeno privo di significato. Questo per dire che i casi sono ancora tanti e che rischiamo a breve una risalita».

La Gran Bretagna da sei giorni consecutivi supera i 50 mila contagi in ventiquattr'ore.
«L'andamento dell'epidemia nel resto del mondo non conforta. La storia si ripete, si è già verificato che accadesse prima negli altri Paesi e che poi toccasse anche a noi. Nel futuro prossimo dovremo e potremo vaccinare tutto il Paese, mi auguro. Mai niente di simile è stato fatto prima e doverlo fare in concomitanza di una forte ripresa della malattia sarebbe una grande iattura e un serio ostacolo. Continuare a contenere la trasmissione della malattia è fondamentale».

Intanto la ripartenza delle attività del 7 gennaio è dietro l'angolo.
«E questo è fonte di apprensione. Sull'organizzazione dei trasporti pubblici al momento mi toccherebbe professare un atto di fede, che tuttavia per il mio modo di pensare mi è molto difficile fare. Negare che la scuola rappresenti un contesto o una causa diretta o indiretta di diffusione dell'infezione - lo dico con grande tristezza, le lezioni in presenza sono importanti e rappresentano un diritto per i ragazzi - significa negare l'evidenza dei dati di vari studi internazionali. Dati, compresi quelli del ministero dell'Istruzione, poi in qualche modo confusamente ritrattati, che ci dicono che è impossibile pensare che anche la sola movimentazione degli studenti non abbia un ruolo nella diffusione del virus. È importantissimo riaprire, ma bisogna farlo gestendo in sicurezza i problemi connessi. Tra l'altro avremo contezza dell'entità casi di contagio avvenuti prima di Natale proprio nella seconda settimana di gennaio, dopo il 7».

È favorevole a un prolungamento delle limitazioni anche dopo quella data?
«Regioni rimaste a lungo gialle non mi sembrano poi messe così bene per numero di contagi e forse questo qualcosa vorrà dire. È stato riaperto tutto troppo presto, al di là dei criteri fissati e della grande attenzione nel farlo. La coperta si è rivelata corta ed è stata troppo tirata di qua e di là».

 

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