Il coronavirus? Ora è custodito in una banca tra le Alpi della Svizzera

Il coronavirus? Ora è custodito in una banca tra le Alpi della Svizzera
di Francesca Pierantozzi
Giovedì 14 Ottobre 2021, 06:00 - Ultimo agg. 20 Febbraio, 21:17
5 Minuti di Lettura

Il parallelepipedo in cemento anni ’60 ha l’aria di una quelle banche svizzere da cartolina, incastonato com’è tra le Alpi Bernesi sullo sfondo, i prati verdi intorno, il lago di Thouna a valle, la sua porta a vetri antiproiettile, il parcheggio immacolato.

E in parte lo è, una banca, il “Labor Spiez”, come recita la grande insegna rossa sulla facciata, soltanto che nelle cassette di sicurezza non ci sono soldi o pietre preziose ma molecole di acido nucleico, le peggiori: Ebola, Marburg, Chikungunya, Vaiolo, febbre gialla, encefalite giapponese e, naturalmente i coronavirus Sars, tutti. Il laboratorio Spiez, dal nome della ridente cittadina, con castello e spiagge attrezzate sul lago a sud di Berna, è uno dei cinquanta P4 al mondo, un laboratorio “di massima sicurezza” in cui sono studiati e manipolati gli agenti patogeni più pericolosi. A maggio, lo Spiez è stato ufficialmente scelto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come Bio-banca del pianeta. Qui saranno stoccati – come in una banca o in una biblioteca di massima sicurezza – tutti gli agenti patogeni del pianeta, i virus più letali, quelli già noti, ma soprattutto quelli che emergeranno. È l’avvio del dispositivo BioHub, il nuovo «sistema mondiale di scambio di materiale patogeno – ha annunciato l’Oms – che non può più essere fondato su accordi bilaterali tra laboratori o su negoziati che durano magari anni». Insomma, quello che è successo a Wuhan alla fine del 2019, le settimane perse all’inizio della pandemia mentre il virus circolava e le informazioni no, non si deve più ripetere.

LA FIRMA

Il 24 maggio un patto è stato sottoscritto tra il ministro della Sanità svizzero Alain Berset e il direttore generale dell’Oms Tedros Ghebreyesus: nell’accordo la Svizzera s’impegna a mettere a disposizione della comunità internazionale il laboratorio di Spiez. Prima missione: dentro al P4 di Spiez saranno d’ora in poi conservati tutti i campioni di coronavirus e le varianti che saranno man mano identificate dai laboratori del resto del pianeta. «Serviremo da deposito di riferimento per tutti i patogeni a potenziale pandemico che gli Stati vorranno consegnarci, su base volontaria – ha spiegato a Le Monde Andreas Bucher, il portavoce del laboratorio – Il principio è che da qui potremmo poi far circolare i campioni ad altri laboratori accreditati che lo richiederanno, in modo da centralizzare lo sforzo di ricerca per combattere meglio le pandemie del futuro». «Tornare al sistema di prima non si può», ha detto il direttore generale dell’Oms. “Prima”, è prima della pandemia Covid, quando il sistema era quello che ogni laboratorio P4 in grado di lavorare sui virus più letali (quindi di sequenziarli, di identificare i test di diagnosi e poi di fare ricerca per cure e vaccini) andava avanti per conto proprio e scambiava poi eventualmente informazioni con altri laboratori, ma in modo bilaterale e con procedure lente e complesse. «Adesso invece, raggruppando tutti i patogeni in uno stesso luogo, potremo guadagnare tempo per controllare le epidemie future, che potranno essere più gravi del Covid – spiega sempre a Le Monde Marc Cadish, direttore dello Spiez – Accelerando la circolazione delle informazioni e dei campioni di virus tra laboratori, il sistema BioHub consentirà lo sviluppo di contromisure mediche alle prossime epidemie e pandemie».

Nel bunker con vista sulle Alpi sono pronti. È dal 1923, quando il laboratorio fu creato per gestire attacchi con armi chimiche che avevano fatto strage durante la prima guerra mondiale, che a Spiez si studiano e manipolano le sostanze più pericolose per l’uomo: agenti radiologici, biologici e chimici. L’obiettivo originale – lottare contro le armi di distruzione di massa – si è ormai esteso anche ai virus. Chi ci lavora, protetto da misure di biocontenimento al massimo livello, dentro tute-scafandro a pressione positiva, con fornitura d’aria separata, con entrate e uscite dal laboratorio che prevedono docce, camera a vuoto e camera con luce ultravioletta, ama pensarsi un po’ come uno 007. Anche se istituto di ricerca civile, fin dalla fondazione il laboratorio dipende dal Dipartimento militare federale. A proteggerlo non soltanto misure di sicurezza biologica, nucleare o chimica, ma anche di riservatezza. Nel settembre 2018, due spie russe furono intercettate all’Aja con materiali informatici sofisticati per introdursi nella rete interna dello Spiez. Il Laboratorio confermò il tentativo di attacco senza comunicare altre informazioni. Da sempre le sue missioni sono “speciali”.

L’ATTIVITÀ

Furono i tecnici e gli strumenti dello Spiez (che svolge un monitoraggio continuo della presenza di radionuclidi nell’atmosfera) a indicare nell’aprile 1989 che qualcosa stava succedendo nel cielo sopra Chernobyl. E furono loro a intervenire nel marzo 2011 a Fukushima dopo l’incidente alla centrale nucleare. È da Spiez che sono partiti gli esperti per verificare se erano state impiegate armi chimiche nella guerra tra Iran e Iraq (1980-1988), o, più di recente, se ne aveva fatto uso Assad nei bombardamenti in Siria. «Il nostro ruolo consiste nell’identificare la firma chimica dei componenti impiegati, per attribuire poi la responsabilità del loro uso», spiega Andreas Bucher. Ed è sempre nel laboratorio P4 di Spiez che sono state esaminate nel marzo 2018 molecole del neurotossico Novitchock usato per avvelenare l’ex spia russa Sergej Skripal’ a Salisbury in Inghilterra. «Senza il laboratorio Spiez il mondo sarebbe un po’ più pericoloso – si legge in un loro opuscolo informativo datato 2015 – il nostro obiettivo è un mondo senza armi di distruzione di massa». Da oggi, l’obiettivo è anche un mondo con meno virus.

© RIPRODUZIONE RISERVATA