Covid, medicina territoriale e ospedali, il prof. Angelillo: dall'emergenza un nuovo sistema sanitario. Ecco come

Getty Images
Getty Images
di Italo F. Angelillo*
Giovedì 14 Gennaio 2021, 06:00 - Ultimo agg. 12 Maggio, 15:57
4 Minuti di Lettura

La pandemia da Covid-19 ha avuto gravi conseguenze anche sull’organizzazione del sistema sanitario. Le risorse sono state infatti principalmente indirizzate verso la gestione dei pazienti colpiti da questa infezione e, anche nell’ottica di contenere il più possibile il contagio, molte attività sono state bloccate. Tutto ciò ha determinato una riduzione delle cure con ritardi o cancellazioni di interventi chirurgici non differibili (almeno 400mila in Italia), cui si è aggiunto un affollamento, fino all’intasamento, delle terapie intensive. E non solo. Si è avuto un calo degli accessi nelle strutture sanitarie perché la paura di ammalarsi ha spinto molte persone a non rivolgersi agli ospedali con tempestività anche per patologie severe come ictus e infarto del miocardio (48 per cento in meno di ricoveri). E poi, la sospensione di visite specialistiche ed esami diagnostici, un rallentamento degli screening per la prevenzione di importanti tumori (più che dimezzati per seno, colon-retto e collo dell’utero, a giudicare dal monitoraggio Aiom, l’Associazione italiana oncologia medica), il rinvio dei controlli in follow-up per patologie croniche e una drammatica diminuzione delle coperture vaccinali sia nell’età pediatrico-adolescenziale sia tra adulti e anziani.

In particolare, il “congelamento” delle visite specialistiche di controllo (sospese dal 36 per cento dei malati oncologici) e degli interventi in elezione non può che produrre ulteriori conseguenze: la necessità di far fronte a tutte le prestazioni che non sono state effettuate o che sono state rimandate determina nuovi bisogni urgenti per consentire la rivalutazione di tutti questi pazienti con la certezza che, per una fascia della popolazione, le cure mancate non sono già più possibili. Difatti, sono stati già stimati 4mila tumori non diagnosticati in tempi corretti. E tutti gli effetti, difficilmente quantificabili nel breve periodo, potrebbero avere conseguenze ancora più negative nel tempo.

Ma la pandemia ha anche fatto emergere una segmentazione del servizio sanitario in cui medico di famiglia, specialista territoriale e ospedaliero hanno una continuità nella gestione del paziente: ciascuno, al meglio delle possibilità, tuttavia, svolge da solo il suo lavoro. È necessario considerare queste criticità oramai chiare come occasione di ridiscussione del rapporto ospedale-territorio e la possibilità di esplorare nuove forme di terapia a distanza, ad esempio attraverso la telemedicina. Da potenziare la rete territoriale, l’assistenza sanitaria integrata, le centrali operative che puntano a obiettivi coerenti.

Ancora: in questi mesi è diventata evidente la questione del fabbisogno di personale in organico, un tema centrale anche nella legge di bilancio che, oltre a prevedere un incremento di circa un miliardo del fabbisogno sanitario standard per il 2021 e ulteriori aumenti sino al 2026, proroga le disposizioni sull’impiego previste nei decreti “Cura Italia” e “Rilancio”.

L’immissione straordinaria di risorse, finalizzata a reclutare temporaneamente altri dipendenti per tamponare l’emergenza, richiama la necessità di definire l’utilizzo di questi professionisti al momento del ritorno alla gestione ordinaria. Ripensare il sistema vuol dire procedere a una ristrutturazione organizzativa ancora più ambiziosa e incominciare a prevedere una coerente distribuzione delle forze per ottenere i risultati migliori in termini di assistenza sia a livello territoriale che ospedaliero. La tragica esperienza dell’epidemia può costituire anche un prezioso patrimonio di conoscenze che va attentamente valutato e deve servire nell’immediato futuro.

Sostanzialmente, negli ultimi decenni sono stati acquisiti straordinari risultati nella prevenzione e nel trattamento di molte patologie, ad esempio cardiovascolari, oncologiche e cardiologiche, per la incredibile evoluzione della ricerca e dell’innovazione: in assenza di misure adeguate, si rischia di ritornare a venti anni fa con un tasso di mortalità più alto per queste malattie. Riepilogando, è necessario nel 2021 perseguire alcuni obiettivi prioritari: potenziare l’assistenza distrettuale, soprattutto quella primaria, recuperare l’efficienza nell’assistenza ospedaliera, garantire le attività di prevenzione collettiva e sanità pubblica, selezionare servizi, prestazioni e interventi da considerare come diritti dei cittadini.

Infine, è importante ribadire che la prevenzione, che va promossa attraverso un sistema sanitario più universale e solidale, non può prescindere da stili di vita sani e dalla individuazione e rimozione dei fattori di rischio, anche economici e sociali e sui luoghi di lavoro. In termini strategici e di politica sanitaria, dunque, non può essere difesa qualsiasi scelta che comporta un indebolimento dell’attività di prevenzione, soprattutto in questo momento di preoccupazione dovuto alla insorgenza di nuove malattie.

*professore ordinario di Igiene all’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”

© RIPRODUZIONE RISERVATA