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La Dieta Mediterranea diventa global: cambiano i prodotti per singoli continenti, ma restano le proprietà

di Carla Massi
Articolo riservato agli abbonati
Giovedì 9 Giugno 2022, 06:00 - Ultimo agg. : 18:46
4 Minuti di Lettura

Napoli, l’Università Federico II lancia una proposta e Nature, la rivista scientifica più prestigiosa nata in Gran Bretagna nel 1869, la accoglie.

Ascolta: Viaggi d'estate, Paese che vai Dieta Mediterranea che trovi. Il test: quanto narcisisti siamo?

L’intuizione della cattedra Unesco di Educazione alla Salute e allo Sviluppo Sostenibile dell’ateneo napoletano è quella di esportare la dieta mediterranea nel mondo adattandola ai cibi “giusti” di ogni Continente. Più che una proposta o un’intuizione si tratta di una sfida planetaria, una salvifica rivoluzione alimentare. In grado di fronteggiare, con potenza, l’obesità diffusa, l’aumento delle malattie cardiovascolari, l’avanzare del diabete di tipo 2, l’impennata di ipertensione e colesterolo alto. Nature, dunque, non solo ha considerato geniale l’idea ma l’ha fatta diventare un editoriale. L’ha fatta propria, in qualche modo, e l’ha girata al mondo scientifico del mondo intero. Tanto che il nome da “Dieta Mediterranea”, perché nata da un mix di tradizioni, coltivazioni e cucina dei Paesi che si affacciano su questo mare, si dovrebbe trasformare in “Dieta Pianeterranea”.

IL RICONOSCIMENTO

Iscritto dall’Unesco, era il 2010, nella lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità, questo menu si dovrebbe aprire a sostituzioni secondo piantagioni e gusti. Mantenendo, ovviamente, il profilo di un regime alimentare che fa leva sulla completezza dei nutrimenti provenienti da alimenti freschi, stagionali con basso indice glicemico. E conditi con olio extravergine. Porzioni su porzioni, come ci dice la letteratura scientifica, in grado di prevenire un lungo elenco di malattie. Da quelle cardiovascolari alle neurodegenerative e al cancro. La “Dieta Pianeterranea”, quindi, potrà accogliere cibi differenti nel Sud-Est asiatico o in America Latina, in base ai vegetali e alle risorse agricole del posto. Questo vuol dire che verrà presentata come modello salutare uguale ma diversa. Viene da sé che nasceranno nuove piramidi alimentari locali. Che, come si legge nel progetto del gruppo universitario guidato da Annamaria Colao, ordinario di Endocrinologia e presidente della Società Italiana di Endocrinologia, dovrà attenersi ovunque alle regole della dieta mediterranea. «Ovvero – si legge nell’articolo – essere principalmente a base vegetale, con un apporto adeguato di grassi mono e polinsaturi con grano integrale, legumi, una quantità moderata di pesce, derivati del latte, carne, frutta fresca o secca».

LE VARIAZIONI

Ecco le possibili sostituzioni al menu base consigliate dal gruppo di ricercatori in ambito medico, agroalimentare e ingegneristico che hanno stilato il progetto (Claudia Vetrani, Giovanna Muscogiuri, Luigi Barrea, Antonia Tricopolou, Prisco Piscitelli): dall’avocado alla papaia in America Latina, manioca e teff (un cereale) in Africa centrale, olio di canola e noci pecan in Canada, sesamo e soia in Asia, fino alla noce di macadamia australiana. «Le abitudini alimentari scorrette, ad alto indice glicemico e cariche di grassi ultralavorati, e ormai diffuse in gran parte del pianeta, sono una delle cause principali dell’epidemia mondiale di obesità, anche infantile, e di malattie metaboliche e cardiovascolari. La “Dieta Mediterranea” invece ha comprovati benefici per la salute grazie a un notevole profilo nutrizionale – spiega Annamaria Colao – Questa scelta alimentare, per esempio, riduce del 30% il rischio di eventi cardiovascolari gravi come infarti e ictus, diminuisce di oltre il 50% la probabilità di tumore all’endometrio nelle donne, abbassa del 30% il pericolo di ammalarsi di diabete. Gli elementi che la caratterizzano sono propri dei Paesi del Mediterraneo e non ovunque si possono trovare. Ma è possibile reperire in ogni parte del mondo frutti, verdure, legumi, cereali integrali e fonti di grassi insaturi con contenuti nutrizionali e caratteristiche simili a quelli tipici della dieta mediterranea, che probabilmente hanno anche simili benefici per la salute delle popolazioni». Come alcuni prodotti subtropicali popolari, i fagioli pinto e l’okra. Ricchi di fibre e proteine associati a livelli ridotti di colesterolo Ldl (“cattivo”) e a una minore incidenza di eventi cardiovascolari.

«Le macroalghe marine, come alghe e wakame, e la spirulina – aggiunge la professoressa – sono ampiamente consumate nei Paesi orientali e rappresentano una fonte importante di polisaccaridi complessi, minerali, proteine e vitamine, con proprietà anticancro, antivirali, antiossidanti, antidiabetiche e antinfiammatorie. Gli esempi sono tantissimi, ma il concetto della “Dieta Pianeterranea”, che verrà lanciata attraverso una piattaforma dedicata della Cattedra Unesco di Educazione alla Salute e allo Sviluppo Sostenibile dell’Università di Napoli, è sostanzialmente uno: le verdure, la frutta, i cereali e i grassi insaturi disponibili in diverse parti del mondo possono essere combinati per mettere a punto paradigmi nutrizionali locali, basati su prove scientifiche». Alla fine dell’articolo un appello dei ricercatori ai colleghi di tutto il mondo: contribuite con noi a questa gigantesca sfida scientifica.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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