Protesi bioniche, l'innovazione tecnologica rivoluziona la guarigione

L'elettrostimolatore L300Go consente di camminare a una donna rimasta paralizzata dopo un aneurisma
L'elettrostimolatore L300Go consente di camminare a una donna rimasta paralizzata dopo un aneurisma
di Graziella Melina
Giovedì 10 Giugno 2021, 06:00 - Ultimo agg. 17:35
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Per ricominciare a gestire la quotidianità dopo un grave infortunio contano più di tutto forza di volontà e tenacia. Ma spesso il supporto della tecnologia può essere provvidenziale. Lo sanno bene Leonardo e Cassidy, due vite parallele, intrecciatesi nella voglia di ricominciare a correre incontro alla vita. Lui ha 16 anni e per lo scoppio di un petardo a Capodanno perde la mano sinistra, lei è americana, ha 47 anni, sposata, 2 figli, per colpa di un aneurisma cerebrale l’intero lato sinistro è paralizzato. Ora Leonardo ha Bebionic una mano bionica con 14 diversi schemi di presa e Cassidy un dispositivo l’elettrostimolatore L300Go che le permette di camminare. L’innovazione tecnologica dell’Ottobock di Budrio ha permesso tutto questo. «La Bebionic – spiega Alessandro Dondi, tecnico ortopedico – agisce grazie agli stimoli che arrivano dal cervello. Anche se si ha un’amputazione o una malformazione congenita l’immagine mentale della mano di solito rimane mappata nel cervello».

IL MECCANISMO

Quando una persona vuole eseguire un movimento, il cervello invia segnali corrispondenti ai muscoli dell’avambraccio. Le persone con un’amputazione possono per esempio immaginare di chiudere-aprire la mano o ruotarla, attivando così i muscoli rimanenti nell’arto. «Se si chiede al paziente di pensare di attivare l’articolazione dell’arto fantasma, per esempio di spingere il polso verso l’alto o il basso – sottolinea Dondi – questo pensiero porta a contrarre i muscoli dell’avambraccio visibili sul moncone. Grazie ai sensori applicati sulla pelle del paziente è possibile muovere la mano bionica». Un risultato quasi impensabile fino a pochi anni fa. Ma che qui è ora possibile dopo tanti anni di ricerca, e grazie all’iniziale intuizione di un protesista, Ottobock che fondò l’azienda in Germania nel 1919, perché voleva riuscire a restituire la mobilità al paziente. Invece di lavorare il legno, già allora applicò nuove tecniche di produzione e creò componenti separati, che potevano essere combinati, modificati o adattati per realizzare un arto personalizzato. Oggi per i pazienti si aprono prospettive insperate. «Confrontando le mani bioniche con le mani elettriche realizzate negli anni passati – continua Dondi – la protesi bionica permette nuovi schemi di presa e consente di compiere gesti che abitualmente facciamo nella vita quotidiana, ma che prima non erano possibili».

LA SPINTA

Che i dispositivi di ultima generazione possano davvero cambiare la vita di chi subisce un trauma, per gli esperti di questa azienda specializzata in protesi è evidente già nello sguardo di ogni paziente. «Per ciascuno di loro subentra un problema di tipo psicologico. Non chiedono soltanto di recuperare le funzioni che avevano prima, legate per esempio all’igiene personale o anche alla scrittura, ma vorrebbero poter essere reintegrati nella società». Ed ecco che a questo punto molti sperano di riuscire a dedicarsi allo sport, come forma di riscatto. «Negli ultimi anni ci stiamo indirizzando anche sugli ausili particolari per l’attività sportiva, per cercare per esempio di adattarli il più possibile alle protesi».

I COSTI

Il problema spesso però è legato ai costi. Il costo della protesi di Leonardo è stato di 50mila euro, cifra che la famiglia ha raccolto attraverso il crowfounding e grazie anche al contributo della Asl di Milano. Il servizio sanitario nazionale, infatti, fornisce dispositivi standard, di vecchia generazione. «Il rimborso del servizio sanitario per un dispositivo ad alta tecnologia è pari a un quinto circa. In realtà – precisa Dondi – il nomenclatore dei prodotti rimborsabili risale agli anni ’90, non è mai stato più aggiornato. Ogni anno si continua ad aspettare il rinnovo, ma poi non avviene. Le protesi standard che vengono fornite purtroppo non permettono grandi performance. Se, per esempio, abbiamo davanti un ragazzo agile e dinamico, con una protesi all’avanguardia riusciamo invece a farlo camminare più spedito, in sicurezza, con meno sforzo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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