Cancro del colon retto, con la biopsia liquida meno rischi e meno fastidi

Cancro del colon retto, con la biopsia liquida meno rischi e meno fastidi
Lunedì 22 Giugno 2015, 08:29
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Il Pascale partner con altri prestigiosi istituti italiani e internazionali di una ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature Medicine.



Raccogliere biopsie è sempre stato un problema in oncologia: può essere doloroso per il paziente, soprattutto per coloro che hanno un cancro al colon retto. Un gruppo di lavoro, coordinato dall’Istituto dei tumori di Candiolo a Torino e che ha visto in prima linea tre oncologici dell’istituto Pascale di Napoli, Alfredo Budillon, Antonio Avallone e Fabiana Tatangelo, ha scoperto un metodo che risolve questo e altri problemi: la biopsia liquida. Si tratta di un procedimento che permette di analizzare il DNA che il tumore rilascia nel sangue, una soluzione che può generare vantaggi sia per il paziente (le biopsie sono tradizionalmente dolorose) sia per il medico (la possibilità di ripetere la biopsia con una frequenza molto maggiore rispetto alle tradizionali e quindi vedere l’evoluzione della malattia).







«Il lavoro, - spiega Alfredo Budillon, direttore dell’Unità di Farmacologia Sperimentale - analizzando il DNA circolante nel sangue di pazienti con tumori del colon sottoposti a terapie contro il recettore dell’EGF, uno dei trattamenti standard in questa patologia, dimostra l’emergere nel tempo di alterazioni genetiche in altri geni sotto la pressione della terapia, associate alla resistenza del tumore o acquisita nel tempo verso questo trattamento.
In altri termini dimostra l’evoluzione dinamica della malattia sotto l’azione del trattamento
».





Teoricamente, dunque, secondo questo studio, con un semplice prelievo di sangue, si può modificare nel corso del tempo la terapia adattandola all’evoluzione genetica della malattia che è identificabile ben prima dell’insorgenza della progressione clinica.






«Si tratta ovviamente di una tecnica molto promettente benchè ancora in fase di sviluppo – continuano Antonio Avallone, esperto del trattamento dei tumori colon rettali e la patologa Fabiana Tatangelo -, i cui risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature Medicine e che rappresenta solo il primo di una collaborazione tra il Pascale e altre prestigiose istituzioni italiane con l’obiettivo di studiare l’effetto di altri trattamenti sull’evoluzione dinamica della patologia tumorale e di confermare attraverso studi clinici se un trattamento intermittente, monitorato mediante la biopsia liquida, sia più efficace nel controllo della malattia».



Il lavoro, coordinato dal professore Alberto Bardelli dell’Istituto Candiolo, ha visto coinvolti, oltre il Pascale, anche il Niguarda di Milano, il San Giovanni Battista di Torino, l’Università di Pisa e due istituzioni estere come il Massachusetts General Hospital e l’Institut hospital del Mar d’Investigacion Mediques di Barcellona.
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