Siamo sempre stati abituati a pensare all’alimentazione sana come a un qualcosa di buono e giusto. E in effetti, un regime alimentare corretto è alla base di uno stile di vita corretto. Ma può accadere anche che il concetto di alimentazione sana ci sfugga di mano: è questo il caso dell’ortoressia. Chi soffre di questo disturbo si ritrova “schiavo” della propria dieta, un’ossessione che diventa sempre più complicata da controllare.
«L'ortoressia - spiega Laura Castaldo, psicologa e psicoterapeuta specializzata nel trattamento di dipendenze e disturbi del comportamento alimentare - è una condizione psicopatologica, per effetto della quale il soggetto è ossessionato da un’alimentazione che ritiene pura e salutare. Prende la forma di una vera e propria fissazione per il cibo sano, per cui l’individuo è ossessionato dal mangiare solo certi tipi di alimenti per una serie di convinzioni etiche, ecologiche, religiose o anche esistenziali.
Il desiderio di adottare un regime alimentare sano non rappresenta di per sé un comportamento disturbato, ma diventa tale quando si trasforma in un'insana e maniacale ossessione nel tempo, una sorta di vuota rincorsa verso un ideale. Il risultato è che la relazione che l’individuo ha con il cibo inizia a danneggiare gravemente le dimensioni essenziali della sua vita. L’obiettivo di una dieta sana dovrebbe essere quello di consentire il mantenimento di un buono stato di salute fisica e psichica, ma in questo caso si trasforma solo in una perentoria preoccupazione.
Chi soffre di ortoressia dunque inizia a prestare «una estrema attenzione al pensiero di cosa mangiare e a una rigida pianificazione e preparazione dei pasti, che devono rispettare procedure ritualizzate ritenute corrette e salutari», prosegue la dottoressa Castaldo. «La giornata viene quindi scandita dalla scelta, acquisto, preparazione, cottura e consumo di alimenti puri e non contaminati da altri nutrienti, rituale che va a discapito di tutte le altre attività nella routine del soggetto. Questo porta inevitabilmente l’individuo a evitare contesti conviviali e all'isolamento sociale».
E cosa succede quando le rigide regole del suo regime alimentare vengono infrante? Il paziente finisce per cadere in un profondo senso di colpa e vergogna. «Egli si allontana dagli altri sia a causa dell’intolleranza nei confronti dei regimi alimentari diversi dal proprio, sia per il senso di superiorità morale sperimentato».
«L’ortoressia - continua la psicologa - può condurre a deficienze nutrizionali, complicazioni mediche e a una bassa qualità della vita, che risulta sia nella sfera psicologica che interpersonale. Questo disturbo compromette la salute dell’individuo anche a livello fisico, vista la mancanza di certi elementi nutritivi scartati dalla propria dieta. Inoltre, il volere a tutti i costi la perfezione dal proprio corpo comporta forti livelli di stress, che comporta una compromissione del funzionamento sociale, accademico o professionale. I momenti dei pasti non rappresentano più un'opportunità di serena convivialità».
Scorrendo i post sulle varie piattaforme social è sempre più semplice imbattersi nei cosiddetti “nutritional influencer” - che non è da confondere con la figura del food influencer, ovvero creatori di contenuti rinomati per promuovere i principi di un’alimentazione sana ed equilibrata. Ci si ritrova dunque circondati da personaggi che - seppur partendo da buoni propositi - possono condizionare in modo negativo le nostre abitudini: «La società contemporanea promuove con sempre maggiore insistenza il cibo sano, in generale un'ideologia del benessere. Accade, con grande facilità, che molti non capiscano fino a che punto questo atteggiameto nei confronti dell'alimentazione possa diventare problematico e sfociare in un disturbo».
Quindi, è possibile guarire dall’ortoressia? «Ciò che rende complesso il trattamento di questi soggetti - conclude la dottoressa Castaldo - è che coloro i quali conducono un'alimentazione ossessivamente sana possono nascondersi dietro la volontà di voler semplicemente mangiare bene. C'è un momento però nel quale gli individui iniziano a percepire l'egodistonicità dei pensieri ossessivi che gli si autoimpongono, sui quali non riescono più ad avere il controllo. Iniziano a sperimentare la fatica della costrizione, finalizzata al mettere in atto compulsivamente comportamenti legati al proprio ideale di purezza. È a questo punto che il soggetto può arrivare a chiedere aiuto, in quanto sentono di passare alla totale perdita di controllo dei propri stati affettivi. La cura è possibile attraverso un percorso di psicoterapia, che aiuterà il soggetto a uscire da quella prigione in cui lui stesso si è confinato. Attraverso la psicoterapia è possibile ricostruire un rapporto non patologico con il cibo, per tornare a sperimentare una dimensione desiderante della propria vita».
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