Il futuro della pizza napoletana forno a legna, al gas o elettrico?

Pizza napoletana
Pizza napoletana
di Luciano Pignataro
Domenica 24 Gennaio 2016, 09:10 - Ultimo agg. 19 Marzo, 14:01
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Quando la pizza si definisce «napoletana»? Oppure, più semplicemente, la pizza o è napoletana o non può chiamarsi pizza? Due domande a cui non è facile dare una risposta perché, come sempre accade sui prodotti del Sud di successo, sono altri a farli propri. Ed è sempre stato facile «rapinare» il Sud perché tutti sono talmente attenti a non fare entrare il proprio vicino nell'uscio di casa da dimenticare il portone aperto agli estranei.

In poche parole, negli Usa, e dunque nel mondo, la pizza è americana anche se ha le sue radici nella New York Style creata da terroni napoletani, calabresi e siciliani all'inizio del '900. E in Italia negli ultimi anni è nata una corrente di pensiero secondo la quale quella napoletana sarebbe solo una delle tante pizze regionali.
Se però torniamo indietro di non molto, vent'anni fa, sappiamo che tutte le pizzerie italiane erano state fondate da napoletani o campani e che a Roma e un po' altrove c'erano solo pizze al taglio.
Negli ultimi cinque anni c'è stata la rinascita della pizza perché molti, sull'esempio di Enzo Coccia, hanno capito che usare prodotti di qualità è diventata una condizione per fare comunque buoni affari.
Ed è stato così che immediatamente la pizza napoletana è decollata ovunque con nuove aperture. Potremmo dunque rispondere che sì, almeno in Italia o la pizza è napoletana o non è. Ci sono poi ottime focacce realizzate da maestri di lievitazione, ma parliamo di altro. Perché? Semplice: la pizza napoletana, come lo Champagne, è espressione di una memoria artigianale collettiva che ha almeno due secoli di storia mentre altrove ci sono solo ottime individualità che esprimono una interpretazione personale. Ma cosa distingue, in effetti, la pizza napoletana dai lievitati, dalle focacce? Il metodo di cottura o l'impasto? O entrambi?
Ed è qui che si aprono infinite discussioni su Facebook alle quali il convegno Pizza Formamentis organizzato per due giorni a Palazzo Caracciolo cercherà di dare una risposta ascoltando operatori, imprenditori, giornalisti, professori universitari, studiosi e ricercatori.

Non era mai accaduto in due secoli di storia che si potesse realizzare un confronto così ampio e profondo, aperto a tutte le tendenze in atto e soprattutto non condizionato dal punto di vista commerciale.

Il vitalismo della pizza napoletana è espressione del vitalismo partenopeo, la capacità di vivere l'attimo e solo l'attimo intensamente adeguandosi alle situazioni più varie e complesse. Ma questo vitalismo per girare il mondo deve fare i conti con le norme di altri Paesi ed è per questo che si è aperta una riflessione sui metodi di cottura, sul forno da usare. I tradizionalisti non vogliono cedere sull'uso esclusivo del forno a legna, ma intanto le associazioni hanno già fatto una apertura significativa su quello a gas mentre le prime prove con quello elettrico sono sorprendenti.

Non c'è altro modo per portare il gusto napoletano nelle grandi capitali europee. A nostro giudizio l'elemento davvero esclusivo della pizza napoletana è nella capacità di dominare l'impasto ottenendo un panetto morbido, ben idratato, che al termine di una rapida cottura si fonde completamente con il pomodoro, l'olio e il latticino sino a formare qualcosa che sia assolutamente nuovo e non riconducibile ai singoli elementi che fanno la pizza.
È questa elasticità, confusa da chi non ha mai mangiato una pizza napoletana con il «poco cotta», a caratterizzare lo stile e che lo rende impossibile da riprodurre a livello industriale o semindustriale.

Questa fase di successo trova spesso molti pizzaioli impreparati a gestirla.
Il problema vero da affrontare nei prossimi anni è la creazione di una nuova generazione di pizzaioli che sappia spiegare cosa fa e perché lo fa, dove sono nati i gesti esperti delle proprie mani, che si aggiorni e si confronti per il mondo, e che soprattutto condisca le pizze con la cultura e non con l'invidia per il successo del collega.
 
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