Insalata di rinforzo. La più ricca delle più povere pietanze delle Feste. Perché sulle tavole dei napoletani non può mancare: «È devozione».
E tutti sanno che per una ottima insalata di rinforzo l’ingrediente principe è la papaccella. Un peperone unico e, attenzione, in via di estinzione, tant’è che è iscritto al “Repertorio regionale” ed è conservato nelle Banche del germoplasma vegetale Campano. Insomma, c’è il rischio che da qui a qualche anno l’insalata di rinforzo potrebbe perdere, appunto, il “rinforzo”. Per scongiurare l’oblio di un sapore che è parte della napoletanità a tavola, un gruppo di studiosi del dipartimento di Agraria della Federico II sta portando avanti un progetto straordinario di ricerca, insieme con alcuni produttori decisi a non perdere questo gioiello della terra campana. Anche per metterlo al riparo dalle falsificazioni.
Si fa presto, dunque, a dire papaccella, perché non tutti i peperoni sott’aceto possono fregiarsi di questo “titolo”. Quelle vere hanno una forma “costoluta” e devono essere coltivate in un’area ben definita di quella che i romani chiamavano Campania felix: Brusciano, Mariglianella, Marigliano, Acerra, Nola, Castello di Cisterna, Pomigliano d’Arco, Sant’Anastasia, Casalnuovo; è presidio Slow Food dal 2007 ed è sostenuto dalla Regione Campania, assessorato all’Agricoltura. A produrre questo gustoso peperone sono solo in 5, il loro referente è Bruno Sodano; una agricoltura eroica, specie perché strappa all’ignominia della Terra dei fuochi la campagna fertile e rigogliosa dell’agro nolano-pomiglianese. Come appassionato è il lavoro di Patrizia Spigno, ricercatrice della facoltà di Agraria, esperta in agrobiodiversità da anni impegnata per la conservazione del patrimonio di varietà di ortaggi storici e tradizionali della Campania attraverso la realizzazione di progetti finanziati in ambito regionale, nazionale ed europeo.
E così, quello che sembra il piatto povero arrivato a noi dalla condizione di antica miseria di un popolo lazzaro e re, assume tutto il sapore della storia e della cultura della terra campana. Una terra fertile, capace di accogliere i semi arrivatai da tanto lontano e di farne un prodotto proprio e tradizionale. Che dire? Mangiare non è solo nutrirsi ma conoscere e lottare per non perdere il piacere di ritrovarsi a tavola, anche in un tempo tanto difficile, gustando la storia.