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«Pizza sicura, le bruciature non provocano il cancro»

La ricerca dell'Accademia dei Georgofili

La pizza napoletana non è cancerogena
La pizza napoletana non è cancerogena
di Luciano Pignataro
Articolo riservato agli abbonati
Venerdì 24 Marzo 2023, 07:00 - Ultimo agg. : 25 Marzo, 08:57
4 Minuti di Lettura

Le bruciature sulla pizza non provocano alcun cancro e possiamo continuare a mangiarla come facciamo da 300 anni con assoluta tranquillità. «La pizza napoletana è sicura, non porta problemi nella parte che definiamo più bruciacchiata - ha affermato Mauro Moresi dell'Accademia dei Georgofili - Questo perché la quantità di acrilammide nel prodotto e nel bordo, ovvero la parte più esposta a temperatura alte, è bassa: ciò viene dimostrato dai gruppi di ricerca dell'Università di Napoli e della Tuscia. Il motivo è legato al tempo di cottura della pizza nel forno a legna, molto basso, in genere sui 90 secondi. Quindi possiamo affermare con certezza che la pizza napoletana è sicura».

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Su questo tema si è tenuto un convegno all'Accademia dei Georgofili di Firenze. «Abbiamo fatto questi studi insieme ad altri colleghi ma poi sulla manualità e sulla riproducibilità dei campioni abbiamo avuto la collaborazione di Enzo Coccia, uno dei più famosi pizzaioli italiani, che è venuto per diverse settimane a preparare i campioni - ha precisato Paolo Masi, Ordinario del Dipartimento di Agraria dell'Università di Napoli Federico II   Gli studi dimostrano che la superficie della pizza che si brucia è inferiore al 3% sulla quantità di peso e non per unità di superficie. Quindi possiamo mangiare tranquillamente la pizza». 

Come mai un convegno scientifico su questo argomento? Anzi due, perché il primo il professore Masi lo aveva organizzato a Portici qualche mese fa mettendo a punto un seminario interdisciplinare molto interessante sul tema. Ecco, come mai questo interesse scientifico sulla pizza?

Per spiegare la cosa dobbiamo riannodare i fili del passato. 

Correva l'anno 2014 e Report fece una famosa trasmissione significativamente intitolata «Non bruciamoci la pizza» che ebbe l'effetto di una martellata sulle ginocchia nel mondo napoletano della pizza napoletana, che in quella occasione si presentò sostanzialmente impreparato ad affrontare l'argomento della cottura.

L'inchiesta di Bernardo Iovene raccolse una serie di critiche che da più parti venivano mosse alla pizza napoletana, il fatto che fosse fatta con farina 00 e dunque causa dell'innalzamento del picco glicemico, l'uso di pale di legno anziché con i fori per evitare di bruciare la farina, l'utilizzo del lievito di birra invece del lievito madre, le oliere non a regola. Fu una trasmissione di forte impatto a cui è seguita una seconda, sempre di Bernardo Iovene, in cui la situazione appare sensibilmente migliorata. 

La verità è che la prima inchiesta fu fatta in un momento di trapasso della storia della pizza napoletana che fu demonizzata in ogni suo aspetto così come era capitato alla mozzarella di bufala e ai pomodori in conserva. Un periodo nero in cui si scoprì che alla fine alla Campania mancava la conoscenza e la comunicazione, due armi invece usate con abilità dalla concorrenza che puntava a riscrivere la storia e a declassare la pizza napoletana come una semplice variante di quella italiana. Un pura operazione di marketing perché in realtà non esiste una pizza italiana, ma ci sono diversi modi per stendere un impasto in alcune regioni d'Italia, per esempio a Roma, ma solo a Napoli la pizza è diventato un ramo specializzato della panificazione con un forno ad hoc, quello a bocca di luna che consente una cottura rapida che conserva la scioglievolezza dovuta all'idratazione che ci consente di piegarla come da tradizione.

Il professore Paolo Masi è stato il primo ad occuparsi di questo alimento dal punto di vista scientifico, sempre in collaborazione con Enzo Coccia, il vero padre della pizza napoletana moderna grazie all'allungamento dei tempi di lievitazione e al miglioramento della qualità degli ingredienti avviati ormai più di vent'anni fa. 

Video

Già all'epoca della trasmissione ci furono reazioni del mondo accademico e della ricerca, ricordiamo Antonio Limone, direttore dell'Istituto Zooprofilattico, che si espresse negativamente sull'accusa più grave: l'essere un alimento cancerogeno. Un'accusa paradossale mossa ad un prodotto naturale artigiano quando sappiamo benissimo che questi problemi derivano dai cibi imbustati e ricchi di conservanti e coloranti distribuiti dalle industrie multinazionali.

Certo i tempi dell'Accademia sono più lunghi, ma alla fine i risultati arrivano. Ed ora c'è la certezza scientifica: il fatto che la pizza napoletana sia cancerogena è una delle tante fake news fatte circolare da chi non la sa fare e non sa neanche gestire un forno a legna. Sono ben altri gli alimenti di cui preoccuparsi. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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