La pizza napoletana più forte della pandemia: Song’ E Napule cala il tris a New York, ecco Upper West Side

La pizza napoletana più forte della pandemia: Song’ E Napule cala il tris a New York, ecco Upper West Side
di Luca Marfé
Domenica 21 Marzo 2021, 17:00
6 Minuti di Lettura

NEW YORK - La pizza napoletana più forte della pandemia, il sorriso di Ciro Iovine quasi come un elisir di speranza.

Pizzaiolo e imprenditore ma soprattutto scugnizzo, nell’anno nero per la ristorazione mondiale, si rimbocca le maniche e non soltanto resiste, ma rilancia e rilancia ancora. Dopo aver già annunciato, infatti, un secondo locale in New Jersey (la cui apertura è imminente), ecco che cala persino il tris: Song’ E Napule pianta la sua bandierina tutta azzurra pure ad Upper West Side Manhattan.

Il quartiere della New York del futuro per celebrare la tradizione della Napoli del passato, iconica e immortale, tra impasti, ingredienti di primissima qualità e cuore grande suo, addirittura nostro.

La città riprende fiato, è tuttora ferita di chiusure, ma oramai vede la luce in fondo al tunnel.
E “Ciruzzo” scalpita: è l’anno suo, finalmente. 

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Tra il Covid e l’autentico disastro per l’economia globale, un secondo e adesso un terzo locale.
Quanto coraggio ci vuole per una doppia mossa del genere? Verrebbe da pensare quasi a una punta di follia.

«Nella vita ci vuole coraggio per tutto, non solo per aprire un locale. Anche per lasciare Napoli e l’Italia, per venire in America, ad esempio. E ce ne vuole parecchio, sono decisioni difficili da prendere e ancora più difficili da gestire e da realizzare. Ma con le persone giuste accanto, veramente tutto è possibile: la famiglia prima di ogni cosa e poi i partner che ti aiutano a crescere. Mia moglie e i miei quattro figli da un lato, e un grande manager e un grande imprenditore dall’altro. Questi ultimi, due personaggi fantastici: Manuel Coccaro, professionista top al lavoro con colossali corporation americane, e Giovanni Sanniti, punto di riferimento per business e investimenti. Con loro, dico molto sinceramente, mi sento più forte, più solido, quasi invincibile. “Arrivato” da nessuna parte, per carità. Ma con una sicurezza addosso che devo a loro e al mio team storico di colleghi, di ragazzi, oramai di famiglia allargata. Quando hai una squadra, sei pronto a tutto. Hai già vinto».

Partiamo dalle basi: la pizza, la cucina, il livello del cibo, ma soprattutto degli ingredienti. Si può crescere senza dover rinunciare alla qualità?

«Qualità, qualità e ancora qualità. Io sono per la qualità e basta, a ogni costo, come tutti i maestri del passato mi hanno da sempre insegnato. Non ho mai avuto un locale grande, mi preparo a fare il doppio salto adesso, ma sin dal principio la chiave del successo è stata la qualità. Di prodotti come il pomodoro San Marzano Eccellenze Nolane e il fiordilatte della Latteria Sorrentina. Non ci dobbiamo dimenticare mai che qui siamo in America e non sempre sono disponibili quei prodotti freschi che in Italia e in particolare a Napoli possiamo trovare “sotto casa”. Ovviamente ci vuole anche uno chef come si deve, perché cucinare un prodotto e presentarlo pure in un certo modo di questi tempi è una parte fondamentale del processo e del successo. Senza dimenticare l’importanza della descrizione che diventa narrazione. Di qualsiasi piatto nostro, a qualsiasi cliente, noi gli possiamo raccontare una vera e propria storia.

Che soprattutto all’estero diventa mito, quasi un pezzo della grande storia di Napoli».

Al di là del cibo, una “fotografia” del quartiere e un’altra del locale. Dai grattacieli del futuro al sogno di design immaginato dall'architetto.

«Il primo locale di Song’ E Napule è stato il sogno mio e di mia moglie. Due ragazzi all’avventura. Mo’ è il momento di cambiare marcia, ci vuole un salto in alto, all’altezza  delle vertigini di West Side New York, di visioni come “The Edge” (la nuova terrazza panoramica che toglie il fiato alla Grande Mela, ndr) e come il design firmato dall’architetto Alessandro Pasquale. Restiamo gli stessi ragazzi di sempre, ma c’abbiamo sogni più grandi, da realizzare in questa zona residenziale bellissima, in mezzo a un viavai di gente incredibile e dove quasi incredibilmente non c’è quella concorrenza spietata che avremmo trovato a Downtown o a Upper East, dove ci sono già tanti stimati colleghi italiani».

Onestamente, fuori dai denti: quali sono le ambizioni dopo un anno così? Come si vive la sensazione, da imprenditore, da pizzaiolo e soprattutto da uomo, di doversi finalmente riprendere tutto?

«Dopo un anno del genere, in cui ci sono state perdite devastanti e in cui tanta gente ha chiuso proprio, è normale avere un po di paura, ma con la paura addosso di fronte alle difficoltà si perde. Io invece voglio credere nel coraggio, voglio credere in una New York completamente vaccinata per settembre, chissà, magari addirittura prima. Voglio credere nelle riaperture che per fortuna già si intravedono, voglio credere nella fiducia, se non di tornare come prima, di vivere comunque un’America nuova, forse diversa, ma viva appunto. E vi dico la verità: se la direzione della speranza è questa, con i miei soci siamo pronti anche per altre aperture di altri locali. Questa è una sfida ulteriore, che per il momento covo tra me e me».

Quanti passi, tanti, importanti. Fino a dove senti di poter arrivare?

«Io ho sempre avuto un sogno nel cassetto: portare Napoli, la nostra “napoletanità” e più in generale l’italianità nel mondo, non solo a New York, ma un po’ dappertutto. Spero per esempio di raggiungere Stati diversi perché amo la nostra cucina, ma amo pure viaggiare e proprio viaggiando mi sono reso conto che in tantissimi “altrove” manca quel tocco che solo noi italiani (napoletani!) sappiamo dare. E ancora, un’ultima confessione: pure un grande ritorno in Patria mi piacerebbe assai, anche perché lavorando all’estero oramai da anni, ci sono momenti in cui l’Italia mi manca come l’aria, quasi come il mare di Napoli».

Un triplo in bocca al lupo a Ciro Iovine.
“Ambasciatore” del cuore grande azzurro. A New York, in America e chissà ancora dove.

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