In provetta i primi "avatar" degli embrioni umani: laboratori viventi per studiare problemi di fertilità e sviluppo

Embrioni umani ottenuti da cellule staminali: nuova scoperta dell'Università del Texas
Embrioni umani ottenuti da cellule staminali: nuova scoperta ​dell'Università del Texas
Mercoledì 17 Marzo 2021, 18:34 - Ultimo agg. 19:44
4 Minuti di Lettura

Ottenuti in provetta i primi 'avatar' degli embrioni umani: si chiamano blastoidi e sono strutture cellulari tridimensionali molto simili all'embrione nella sua fase iniziale di sviluppo (blastocisti). Invece che essere prodotti a partire dall'unione di ovuli e spermatozoi, sono stati ottenuti riprogrammando cellule staminali o cellule della pelle. Sebbene siano ancora un po' grezzi, promettono di diventare dei laboratori viventi per accelerare lo studio di problemi come l'infertilità e le malattie congenite, alla ricerca di nuove terapie. Il risultato è pubblicato su Nature in due studi indipendenti coordinati dalla Monash University di Melbourne, in Australia, e dal Southwestern Medical Center dell'Università del Texas, negli Stati Uniti. 

Cosa sono i blastoidi

I blastoidi umani arrivano a pochi anni di distanza dai primissimi embrioni sintetici di topo ottenuti nel 2017 e nel 2018 in Gran Bretagna e nei Paesi Bassi. La ricerca fa così un ulteriore passo avanti nello studio delle prime fasi dello sviluppo embrionale, grazie a questi organoidi che simulano le blastocisti evitando così i problemi etici sollevati dall'uso di embrioni veri, umani e animali.

Entrando nel merito dei due nuovi studi, lo stesso risultato è stato ottenuto percorrendo strade diverse.

Come si è svolta la ricerca

I blastoidi umani arrivano a pochi anni di distanza dai primi embrioni sintetici di topo ottenuti nel 2017 e nel 2018 in Gran Bretagna e nei Paesi Bassi. La ricerca fa così un ulteriore passo avanti nello studio delle prime fasi dello sviluppo embrionale, grazie a questi organoidi che simulano le blastocisti evitando così i problemi etici sollevati dall'uso di embrioni veri, umani e animali. Avere organoidi capaci di riprodurre le fasi embrionali «è fondamentale per capire come si strutturano i diversi tipi di cellule nell'embrione, a quali molecole farmacologiche possono rispondere e così via», commenta Carlo Alberto Redi, Accademico dei Lincei e presidente del Comitato Etico della Fondazione Umberto Veronesi. «Nel campo della fecondazione medicalmente assistita, questi blastoidi potranno rivelarci perché nelle fasi iniziali dello sviluppo si ha un numero così alto di alterazioni genetiche: addirittura una blastocisti su due, allo screening pre-impianto, mostra uno sbilanciamento cromosomico che può portare all'aborto», aggiunge Giuseppe Novelli, genetista dell'Università di Roma Tor Vergata.

I metodi usati

Entrando nel merito dei due nuovi studi, i blastoidi sono stati ottenuti con metodi diversi. Il gruppo di ricerca guidato da Jose Polo della Monash University ha riprogrammato cellule adulte prelevate dalla pelle (fibroblasti) e le ha coltivate in 3D fino a formare una struttura del tutto simile per architettura e genetica a una blastocisti e perciò chiamata 'iBlastoidè (cioè blastoide indotto). Questo organoide, spiega Polo, «permetterà di studiare le primissime fasi dello sviluppo umano, facendo luce su alcune delle cause di infertilità e malattie congenite, e consentirà di valutare l'impatto di sostanze tossiche e virus sugli embrioni, senza dover usare vere blastocisti umane e soprattutto con un dettaglio senza precedenti, accelerando lo sviluppo di nuove terapie». Il secondo gruppo di ricerca, guidato da Jun Wu dell'Università del Texas, ha invece ottenuto un blastoide partendo da cellule staminali pluripotenti umane. L'organoide è paragonabile a una blastocisti per morfologia, dimensione, numero e varietà di cellule, ma non è comunque in grado di svilupparsi in un vero embrione vitale. I blastoidi infatti sono dei modelli, delle imitazioni sintetiche, «non dei veri embrioni umani: anche se venissero impiantati in una pseudo-madre non andrebbero avanti nello sviluppo», sottolinea Carlo Alberto Redi. «Per questo motivo non devono essere trascinati nell'annoso dibattito sul limite dei 14 giorni per la ricerca sugli embrioni umani, semplicemente perché sono cose diverse: un organoide non solleva le stesse questioni etiche di un vero embrione umano». Per arrivare a una dare una definizione chiara e condivisa servirà comunque un ampio dibattito, osserva Novelli, perché «l'utilizzo di questi modelli implicherà nuove questioni etiche e legali da approfondire, anche se pare evidente che non potrebbero mai svilupparsi fino a dare un vero embrione umano».

© RIPRODUZIONE RISERVATA