La preside Carla Alfano va in pensione: «La mia guerra ai pusher del Virgilio»

La preside Carla Alfano va in pensione: «La mia guerra ai pusher del Virgilio»
di Maria Lombardi
Martedì 4 Agosto 2020, 00:05 - Ultimo agg. 5 Agosto, 09:24
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«È come lasciare il comando di una nave durante una tempesta». La preside Carla Alfano il dolore dell’addio, dopo quasi 45 anni di scuola a Roma, l’aveva messo in conto. Ma adesso va via con una pena in più, l’ansia di un settembre «ingarbugliato», le aule non sono abbastanza, i professori nemmeno, e come distanziare se non c’è spazio per le distanze, si finirà in parrocchia se va bene. Lavorerà fino all’ultimo giorno per lasciare più risposte possibili, «perché noi dobbiamo essere un punto di riferimento», dopo aver posto domande anche scomode e costretto tanti adulti a interrogarsi.

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L'intervista del 2017

«Vi pare possibile tollerare che piccoli pusher vendano spinelli davanti le aule a ragazzetti del primo anno? Vi pare sopportabile questo clima di omertà?». Era il novembre 2017, la preside che dal deserto dell’Egitto orientale - dove da giovane ricercatrice partecipava agli scavi - era finita alla guida del turbolento liceo romano Virgilio disse quello che nessuno aveva fino a quel momento osato dire. Qualcuno la difese, qualcun altro la massacrò, «fu una parentesi dolorosa, ma ripeterei quelle stesse frasi». Ora che, a 70 anni e dopo diverse proroghe va via dall’istituto comprensivo Alfieri Lante della Rovere, c’è chi le scrive «grazie per il coraggio», e grazie «per la feroce passione di organizzare la scuola».

Come ha vissuto questi ultimi mesi?
«Sono stati momenti difficili, le famiglie hanno vissuto questi mesi come se la scuola fosse chiusa e invece è stata più aperta che mai. Abbiamo dovuto ridare unità a insegnanti, ragazzi e genitori disorientati, imparare velocemente una didattica mai sperimentata. Ho fatto riunioni in continuazione e ripetuto a tutti: noi dobbiamo dare coraggio e sicurezza agli studenti e alle famiglie, la nostra presenza è un impegno sociale. La sensazione di lasciare la scuola in mezzo ai guai non mi fa star bene».

Da egittologa a preside, come è stato il passaggio?
«Gli scavi in Egitto non erano compatibili con la famiglia. Ho cominciato a insegnare a 26 anni e, grazie a un distacco alla Sapienza, ho partecipato a missioni nella zona di Luxor. Per sfida ho fatto il concorso da preside e senza quasi rendermene conto l’ho superato. Ma per 7, 8 anni, anche da dirigente scolastico, ho continuato a fare il curatore scientifico di diverse mostre a Roma sull’Egitto».
 
Nel corso dell’occupazione al Virgilio del 2017 arrivò a scontrarsi duramente con ragazzi e genitori perché parlò di “clima mafioso e omertoso”. Lo rifarebbe?
«Vedevo i ragazzi in pericolo, un andazzo, come si dice a Roma, di tolleranza nei confronti dello spaccio. A fronte di un corpo docente molto qualificato e nonostante l’ottimo lavoro del titolare che mi aveva preceduto e aveva combattuto tenacemente questo fenomeno, ho trovato una scuola in grande sofferenza. Non si può dire che sia normale che in un istituto ci sia la costante presenza della Digos. O che piccoli pusher vendano la droga davanti le aule a ragazzi delle prime. E non siamo a Scampia, ma nel centro di Roma. Io continuo a sostenere che tutto questo non è normale e lo ripeterei. Ho diretto diverse scuole, anche a Tor Bella Monaca, ma quello che ho visto lì è inaccettabile. Una normalità nell’assurdo».

Userebbe quello stesse parole?
«Magari le mitigherei, ma quando ci si imbatte in un sistema di intimidazione, come lo vuoi chiamare? In pochi prevaricavano la maggioranza intimidendola, non c’era libertà di pensiero e di parola. Tantissimi genitori e ragazzi erano dalla mia parte ma mi confidarono di non poterlo dire pubblicamente. E altri impazzivano perché non ero sui social e non potevano insultarmi. In questa battaglia che rifarei ho incontrato anche tanta solidarietà».

Intervenne anche l’allora ministra Fedeli.
«Genitori potenti provarono a chiedere la mia testa, ma la ministra lavorò per trovare una mediazione. Sarei rimasta in quel liceo se avessi avuto davanti a me un orizzonte di vita lavorativa tale da consentirmi di portare avanti il mio impegno per la legalità».

Che cosa manca nella scuola che sta per lasciare dopo tanti anni?
«La scuola andrebbe modernizzata, bisogna lavorare molto sui licei, è soprattutto lì che si vede l’inadeguatezza dei linguaggi scolastici. Così com’è, il liceo rischia di non essere più un ascensore sociale: chi può va poi a studiare all’estero e chi non può ha una formazione non adeguata ai tempi».

La più bella soddisfazione?
«Un ex alunno che è tornato a scuola dopo tanti anni, non lo avevo riconosciuto. Era diventato il più giovane procuratore d’Italia, mi aveva dedicato il libro di diritto da lui scritto. Mi ha abbracciata. Come può esserci di più bello per una preside di un abbraccio?».
 

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