Violenza social, arriva lo stop ai video che incitano all'odio

Violenza social, arriva lo stop ai video che incitano all'odio
di Rosario Dimito e Francesco Malfetano
Venerdì 19 Novembre 2021, 07:29
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ROMA Alla fine di gennaio di quest'anno, a Palermo, la piccola Antonella Sicomero, 10 anni, è morta in ospedale per asfissia dopo che lo zio l'ha ritrovata priva di sensi in casa. Immediatamente la famiglia e gli inquirenti puntarono il dito contro TikTok, il social di video-sharing su cui la bambina era solita passare tantissimo del suo tempo. «Voleva essere la regina, la star di TikTok e c'è riuscita - dirà lo zio qualche giorno dopo - È finita proprio come voleva lei». L'ipotesi principale, ancora in piedi, è quella di una challenge mortale, cioè che la piccola sia stata suggestionata da qualche contenuto pericoloso visto sul web e l'abbia purtroppo imitato. Di episodi del genere poi, anche prima del tragico epilogo palermitano, se ne sono verificati diversi altri, il più delle volte con protagonisti dei piccolissimi.

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Dalle risse al Pincio a Roma, fino ad altre morti spesso ancora inspiegabili che però fanno guardare con sempre maggiore sospetto alle cosiddette piattaforme di video-sharing. Non solo il social cinese, ma anche le varie YouTube, Facebook, Dailymotion, Twitch o Instagram e pure - specie dopo i numerosi casi di emulazione correlati alla serie tv Squid Game - le piattaforme on-demand come Netflix o Amazon Prime, sempre più spesso sotto accusa perché incapaci di controllare cosa gli utenti pubblicano davvero sui loro profili o chi ha ha davvero accesso ai loro contenuti.

Un fenomeno su cui ora, in ritardo rispetto ai tempi dettati dall'Unione europea, l'Italia sta finalmente intervenendo.


IL DECRETO
Su delega del Parlamento infatti, il governo ha riscritto il Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (la cosiddetta legge Gasparri), per recepire le disposizioni dettate già nel 2018 da una direttiva Ue, e adeguare il Testo alle piattaforme digitali. Il decreto approvato dal Cdm del 4 novembre, già firmato dal Capo dello Stato e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, assegna ad Agcom pieni poteri di vigilanza. «L'obiettivo è di creare e garantire il corretto funzionamento di un mercato unico europeo per i servizi di media audiovisivi, contribuendo allo stesso tempo alla promozione della diversità culturale e fornendo un livello adeguato di protezione dei consumatori e dei minori», si legge nella relazione tecnica.
Tra le principali novità del decreto spiccano le disposizioni che estendono alcune regole di tutela già esistenti per i media tradizionali alle piattaforme di condivisione, al fine di adottare misure per salvaguardare i minori dai video e il pubblico da immagini che sono dirette a istigare alla violenza o all'odio.
In altri termini la direttiva recepita rimette agli Stati membri il compito di adottare misure (quali ad esempio la scelta dell'ora di trasmissione, gli strumenti per la verifica dell'età o altre misure tecniche) volte a garantire che i minori, di regola, non vedano o ascoltino servizi di media audiovisivi, anche pubblicati da altri utenti come una storia su Instagram o appunto un video su TikTok, che siano potenzialmente lesivi per il loro sviluppo fisico, mentale o morale.


L'INTERVENTO
Tali misure, di cui in Italia si occuperà l'Agcom, «devono essere proporzionate alla potenziale nocività del programma». Per i contenuti più nocivi, come la violenza gratuita e la pornografia, sono quindi richieste misure più rigorose. E i fornitori di servizi di media dovranno fornire ai telespettatori informazioni sufficienti perché ciò non accada.
«Ben venga qualunque intervento legislativo - spiega Ivano Zoppi, segretario generale di Fondazione Carolina, da tempo si occupa di cyberbullismo e benessere dei minori in rete - oggi troppi minori entrano a contatto con contenuti che non dovrebbero mai vedere. Non parliamo di un episodio quindi ma della prassi». In Italia infatti «si è normalizzata una situazione agghiacciante». E per un bambino oggi è facilissimo aggirare i limiti di età imposti dalle piattaforme o ovviare al parental control. «Non serve solo più attenzione o consapevolezza da parte dei genitori che troppe volte non hanno gli strumenti per comprendere che lasciare un bambino davanti ad un tablet è un pericolo - continua Zoppi - ma serve soprattutto più attenzione da parte delle istituzioni. Spero che ora l'Agcom trovi la formula per intervenire e lo faccia immedesimandosi nei genitori, nella vita reale. Fino ad ora questo non è stato fatto».

 

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