Alessia Siniscalchi: «Io e papà Vincenzo insieme al matrimonio di Maradona, per lui era come un figlio»

Alessia Siniscalchi: «Io e papà Vincenzo insieme al matrimonio di Maradona, per lui era come un figlio»
Venerdì 30 Aprile 2021, 23:00
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Vittorio Gassman, Gigi Proietti, Paola Pitagora, Michele Placido, Tinto Brass. Erano solo alcuni dei tanti amici di papà, quelli con cui Alessia giocava, scherzava e si intratteneva come se fossero stati i suoi. Da ragazzina, vivace e curiosa, passava più tempo con lui - e con loro - che con il resto della famiglia. «Sintonia, intesa, comunanza di interessi direi. Devo ammettere che con papà mi divertivo. E poi ero diventata la sua accompagnatrice ufficiale ai matrimoni ai quali mamma dava forfait». E Vincenzo Maria Siniscalchi, tra i migliori penalisti napoletani, di inviti a nozze ne riceveva parecchi.

Quali ricorda?
«Quello di Diego Armando Maradona».

A Buenos Aires?
«Certo. 7 novembre 1989. Dall'Italia arrivammo in duecento tra cui famosi calciatori, giornalisti e due cantanti, Fausto Leali e Franco Califano. Fu un matrimonio in perfetto stile maradoniano.

E chi se lo scorda. E chi se lo scorda pure quello di Gianni Minà».

Dove si sposò?
«A Cuba. Riuscii a intravedere attraverso un vetro perfino Fidel Castro: partecipava alla cerimonia sotto protezione. Fu una esperienza straordinaria».

Eventi non di poco conto.
«Infatti ci andavo sempre ben volentieri. Non lo accompagnai invece a Torcello, dove fu testimone di nozze di Tinto Brass».

Anche Tinto Brass?
«Grande amico suo. Quando Tinto si sposò, mio padre gli aveva appena curato la parte giuridica della sceneggiatura del film La vacanza. E tutti a dire: Con un testimone così, il matrimonio è nullo. Mio padre lo racconta ancora».

Un penalista amico degli artisti, insomma.
«Come avvocato, scelse da subito di indagare pezzi di società, con incursioni nel mondo del cinema, della canzone - ha difeso decine di artisti, da Franco Califano a Gigi Sabani - dello sport, ma anche su terreni insidiosi come il terrorismo».

Difese scomode.
«I Nuclei armati proletari, ad esempio. Con Giuliano Vassalli e Adolfo Gatti - mi ha raccontato - difese gli autori della rivista L'ape e il comunista considerata, ma non lo era, delle Brigate rosse. E poi Petra Krause, sospettata di legami con la Baader Meinhoff. Difese scomode, certo, rispetto alla sinistra e al mondo borghese al quale apparteneva».

Quali altri casi ricorda?
«Rita Sgueglia. Se ci penso ancora mi vengono i brividi. Aveva strangolato l'amante, un uomo di oltre vent' anni più grande di lei, ne aveva trasportato il cadavere in valigia, da Positano a Recale, e lo aveva infine nascosto in un bidone di ferro sotto uno strato di calce e di sabbia nel giardino di casa. E intanto, tranquilla, collaborava con la polizia per risolvere il giallo della misteriosa scomparsa dell'uomo».

Siniscalchi la difese.
«Con mia madre».

Marinella De Nigris.
«Hanno sempre condiviso professione e impegno sociale ma nel pieno rispetto delle autonomie e delle reciproche differenze. Quel caso contribuì a unirli anche di più».

Difesa difficile.
«Ma molto interessante. La Sgueglia aveva subito una violenza sessuale. E in quell'amante - secondo loro - aveva rivissuto il momento in cui era rimasta vittima dell'aggressore. Una sorta di rielaborazione, terribile, di ciò che le era accaduto. Poi, il caso Marta Russo».

La studentessa universitaria uccisa in un vialetto della Sapienza la mattina del 9 maggio 1997. Da chi?
«La procura di Roma puntò quasi subito l'indice su due giovani assistenti universitari di filosofia del diritto, Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro. Papà difendeva Ferraro».

Che cosa la colpì di quel processo?
«Le ricostruzioni dei fatti, ingaggiarono perfino degli attori per riproporre più fedelmente le fasi di ciò che era accaduto. Le arringhe di mio padre furono un capolavoro. Non dovrei essere io a dirlo ma riconosco, sia in lui che in mia madre, il dono dell'arte oratoria».

Non ha mai pensato di ripercorrerne le orme?
«Sono avvocato anche io e ho seguito la vita professionale di entrambi. Alla fine, però, il mio percorso è stato diverso. Oggi vivo a Parigi, mi occupo di arte e cultura».

Andiamo con ordine.
«Dopo la laurea vinsi una borsa di studio per frequentare il Master in Fine arts all'Actors Studio Drama School di New York. Lì ho lavorato con maestri del teatro classico e con compagnie di teatro sociale, politico, sperimentale».

E a Parigi?
«Doveva essere solo una tappa ma sono qui da dieci anni. Ho fondato l'associazione Kulturscio'k con Ivana Messina, danzatrice di Torino. Collaboriamo con artisti, musicisti, scrittori, danzatori, per lo sviluppo di performance multidisciplinari».

E l'avvocato?
«Sto inseguendo le mie passioni, con coraggio e senza pregiudizi. Così come mi hanno insegnato i miei genitori. Poi si vedrà». 

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