Botteri, discriminazioni e body shaming sul web per la giornalista Rai

Botteri, discriminazioni e body shaming sul web per la giornalista Rai
di Delia Paciello
Sabato 2 Maggio 2020, 16:38
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L’apparenza troppe volte è più importante del contenuto: lo si vede sui social, dove quotidianamente si trovano esempi emblematici del fenomeno moderno. Come il caso Botteri: la giornalista Rai da sempre è presa di mira per il suo aspetto da numerosi leoni da tastiera e non solo. Ma oggi ha deciso di rispondere alle numerose ironie che si sono tramutate persino in accuse professionali. «Come Totti, Messi, Maldini, anche la Botteri ha sempre indossato solo una maglia»; «Come fa a fare la giornalista quella, che non si pettina neanche»; «Sempre la stessa maglia, eppure va in televisione»; «Potrebbe curarsi un po’ prima di andare in onda», alcuni dei commenti più carini diretti alla corrispondente della tivù di Stato, al momento in prima linea in Cina per parlare dell’emergenza sanitaria e trasmettere notizie dal paese dove pare essere nato il coronavirus. Per non parlare delle numerose offese, del body shaming, della derisione per il corpo o l’abbigliamento di una professionista che la fa padrona sul web, non solo nei confronti della Botteri: lei è solo uno dei tantissimi casi che riguardano principalmente le donne, spesso screditate perché non rispondono ai classici stereotipi maschilisti e non sono libere di esprimere sé stesse con il proprio abbigliamento e il proprio modo di essere, dalla minigonna alla maglia nera, ai capelli spettinati o troppo da bambola. Vittime continue di giudizi superficiali: che sia bella o brutta, che indossi un tailleur o un maglione, un pantalone o una minigonna, le donne che rivestono dei ruoli sono soggette a critiche o giudizi social sull’aspetto. La verità è che al di là del look non tutti riescono ad accettare la loro professionalità e si lotta ancora contro stereotipi arcaici falsamente camuffati da modernità che appartengono a una radicata concezione maschilista anche nell’emisfero femminile stesso. A tal proposito è intervenuto anche il Comitato Pari opportunità dell’UsigRai a firma di Monica Pietrangeli nell’intento di scardinare modelli stupidi e body shaming nelle sue svariate forme: «Colpite sono soprattutto le donne – si legge nel lungo comunicato -, che sono il gruppo sociale più odiato in rete. Una forma di attacco subdolo perché attraverso la risata che vorrebbe suscitare, ridicolizza, ferisce. In questo ultimo periodo ne è stata oggetto la collega Giovanna Botteri, corrispondente Rai da Pechino. La si giudica, deride, offende per come si veste. Per i suoi capelli. Come Cpo Fnsi, Usigrai, Cnog e Giulia Giornsliste abbiamo deciso di contattarla per esprimerle la nostra solidarietà. Lei non ha voluto, non vuole farne un caso personale. Ma ci invita tutte e tutti ad una sacrosanta battaglia culturale. Lo fa con queste parole, usate nella nostra corrispondenza dì questi giorni. Cogliamo questa sollecitazione. Facciamone motivo di confronto».

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Parole che invitano a riflettere anche quelle della Botteri, che per la prima volta ha deciso di rispondere ai numerosi attacchi social e non solo di cui è vittima da tempo: «Mi piacerebbe che l’intera vicenda, prescindendo completamente da me, potesse essere un momento di discussione vera, permettimi, anche aggressiva, sul rapporto con l’immagine che le giornaliste, quelle televisive soprattutto, hanno o dovrebbero avere secondo non si sa bene chi… Qui a Pechino sono sintonizzata sulla Bbc, considerata una delle migliori e più affidabili televisioni del mondo. Le sue giornaliste sono giovani e vecchie, bianche, marroni, gialle e nere. Belle e brutte, magre o ciccione. Con le rughe, culi, nasi orecchie grossi. Ce n’è una che fa le previsioni senza una parte del braccio. E nessuno fiata, nessuno dice niente, a casa ascoltano semplicemente quello che dicono. Perché è l’unica cosa che conta, importa, e ci si aspetta da una giornalista. A me piacerebbe che noi tutte spingessimo verso un obiettivo, minimo, come questo. Per scardinare modelli stupidi, anacronistici, che non hanno più ragione di esistere. Non vorrei che un intervento sulla mia vicenda finisse per dare credibilità e serietà ad attacchi stupidi e inconsistenti che non la meritano. Invece sarei felice se fosse una scusa per discutere e far discutere su cose importanti  per noi, e soprattutto per le generazioni future di donne».

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Una battaglia culturale ben più ampia questa, che tante donne provano ad affrontare da tempo: l’aspetto pregiudica la professionalità. È vero, tanti dicono che anche l’occhio vuole la sua parte, specie se in Tv: allora che si parli di moda e si discuta di quello, ma non di giornalismo e non si giudichi la professionalità attraverso un'immagine. E soprattutto non si cada poi nel body shaming. Quante donne che decidono liberamente di indossare una minigonna, un abito succinto, uno scollo magari semplicemente perché rispecchia la loro personalità o uno stato d’animo vengono comunque giudicate per la scelta? All’opposto del caso Botteri, ma sulla stessa linea concettuale, nel 2020 sono numerose le professioniste nel campo del giornalismo e non solo quotidianamente offese perché nell’immaginario collettivo dovrebbero indossare specie di tuniche per non dare risalto alle forme cancellando la propria femminilità come se pregiudicasse la preparazione o la competenza o come se dovessero fingersi uomini per far dimenticare a tutti il proprio sesso, non adatto al ruolo. «Sono pu***ne, non è il caso di mostrare lo scollo»; «Hanno bisogno di farsi notare per le gambe»; «Chissà come è arrivata lì», si legge comunemente sul web fra i commenti a volti noti dell’informazione televisiva. Offese gravi con le quali si fanno i conti tutti i giorni, discriminazioni sessiste difficili da scardinare. Cose che non si sentono se si tratta di un uomo, qualsiasi cosa indossi. Raramente si mette in dubbio il percorso di un uomo, come se la prostituzione potesse essere solo sessuale e non politica, o di altro tipo, come se tanti uomini nella storia, così come tante donne, non sono mai scesi a compromessi per ricoprire delle posizioni. Ma le donne si portano dietro a prescindere colpe di altri, gli uomini no. Perché una donna viene giudicata a priori, perché dà fastidio se ricopre ruoli che le danno visibilità: la donna è la soubrette o la casalinga nell’immaginario comune.

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Chi come la Botteri ha cercato di scardinare questi luoghi comuni non badando affatto all’aspetto, ma al contenuto, ha subito lo stesso le conseguenze di un’idea culturale che schiaccia la donna: anche lei non risponde ai canoni. E allora decide il look giusto di una giornalista? Se non veste in quel modo non lo è? Chi lo stabilisce? Un’idea arcaica. E spesso gli esperti di moda social e i giudici del web si confondono e si credono anche esperti di giornalismo e non solo quando si tratta di una donna. Tanti italiani e italiane non riescono ancora a leggere o ascoltare semplicemente le parole di una donna al di là dell’aspetto. Il caso Botteri dovrebbe essere un memorandum per tanti.

 

 

 

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